Le zone gravate da usi civici e le attività estrattive: il significato di beni ambientali e paesaggistici

Premessa
Lo sviluppo delle attività estrattive, soprattutto nelle aree collinari e montane, spesso è stato condizionato dall'esistenza di un particolare vincolo alle attività di coltivazione mineraria, costituito dalla presenza di zone destinate ad usi civici riconosciuti a favore della collettività locale: tali usi civici, pur se non esercitati o esercitati solo in parte, costituiscono un vincolo effettivo, la cui rimozione totale o parziale, temporanea o definitiva, necessita di un percorso amministrativo particolarmente accidentato, anche per il necessario intervento di più Amministrazioni Locali, non sempre tutte operanti con comunanza di obiettivi.
Si tratta di diritti acquisiti già da lungo tempo per le attività di legnatico, raccolta dei frutti e di pascolo, talvolta con rilevanza fini di produzione agricola, certamente non più attuali, per le mutate condizioni economiche e sociali delle comunità locali, non più necessitanti dell'uso di terreni destinati ad usi civici per soddisfare le proprie immediate esigenze di vita.
Lo Stato, fin dagli anni venti del secolo scorso, ha tracciato un percorso amministrativo per la tutela e/o la liquidazione degli usi civici, al fine di mettere ordine in una materia complessa, anche per la presenza a livello locale di modi differenti di intendere gli usi civici stessi: il legislatore, originariamente, ne aveva di fatto predisposto la progressiva scomparsa, a fini di razionalizzazione complessiva del sistema di gestione del territorio.
A partire dalla promulgazione delle prime normative in materia di tutela del paesaggio, gli usi civici hanno acquisito un diverso e più pregnante significato economico e culturale, trasformandosi sostanzialmente in beni ambientali e paesaggistici, da tutelare con le ordinarie forme del procedimento relativo al paesaggio, perdendo l'originaria connotazione agricola.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 103 del 11 maggio 2017, relativa a un giudizio di legittimità costituzionale di una legge della regione Sardegna, conclusosi in senso sfavorevole alla regione stessa, ha delineato in modo chiaro i limiti e i valori degli usi civici, nell'ambito della più generale previsione di tutela dei beni ambientali e paesaggistici.
Si esamina nel seguito, alla luce della pronuncia costituzionale, la complessa situazione vincolistica a carico del settore estrattivo, evidenziando anche le differenze tra le attività estrattive di cava e quelle di miniera.

La legislazione attuale sugli usi civici
Le fonti legislative nazionali di riferimento in materia di usi civici sono la legge 16 giugno 1927, n. 1766, riguardante il "riordino degli usi civici nel Regno", ed il regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332, "regolamento per la esecuzione della legge n. 1766/1927".
Le normative di cui sopra sono state confermate con il decreto legislativo n. 179/2099, a seguito del cosiddetto decreto taglia leggi, in relazione alla attualità dei contenuti che hanno dato origine alla legislazione di riordino degli usi civici, i cui obiettivi, a circa novant'anni dalla promulgazione della legge specifica, risultano ancora non pienamente attuati, anche per le novità legislative nazionali in materia di beni ambientali e paesaggistici di recente introdotte.
E' istituita la figura del Commissario per la liquidazione degli usi civici, con competenze amministrative e giurisdizionali nella materia, quale sezione specializzata di Corte d'Appello, con il compito di liquidare gli usi demaniali e civici insistenti sui terreni privati mediante la loro affrancazione, con la cessione alle comunità utenti di una porzione delle terre gravate o con un congruo corrispettivo in denaro.
Allo stesso Commissario sono stati attribuiti compiti di regolazione dell'utilizzo dei diritti civici esercitati su terreni comunali e frazionali, che devono essere riordinati e conservati, qualora detti terreni abbiano natura silvo-pastorale (categoria a): i terreni restano soggetti ad un regime di inalienabilità, inusucapibilità e indivisiblità, del tutto paragonabili al demanio pubblico, tutelati da un vincolo di destinazione. Nel caso di terreni utilizzabili a fini agrari (categoria b), gli stessi terreni erano assegnati ai coltivatori in enfiteusi.
A seguito del trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle competenze amministrative in materia di usi civici con il DPR n. 616/1977 (le medesime competenze per le regioni a statuto speciale sono state trasferite in applicazione dei rispettivi Statuti), le regioni stesse hanno promulgato leggi specifiche, attuative della legislazione nazionale del 1927, affidando le relative funzioni amministrative ai comuni e alle regioni stesse: i comuni hanno funzioni gestionali e di proposta di alienazione o di mutamento di destinazione del bene d'uso civico, le regioni funzioni di controllo e autorizzative. Ai Commissari restano attribuite le funzioni giurisdizionali relative alle controversie per l'utilizzo degli usi civici.
Secondo la sentenza della Corte Costituzionale n. 103/2017 nel contesto storico contemporaneo la rilevanza socio-economica delle antiche utilizzazioni dei terreni destinati ad usi civici si è molto ridotta, mentre le leggi più recenti, relative alla tutela dei valori paesaggistici del territorio hanno stabilito che i caratteri morfologici, le peculiari tipologie d'utilizzo dei beni d'uso civico ed il relativo regime giuridico sono meritevoli di tutela per la realizzazione di interessi generali, ulteriori e diversi rispetto a quelli che avevano favorito la conservazione integra e incontaminata di questi patrimoni collettivi.
Il riferimento legislativo relativo alla valenza paesaggistica dei beni d'uso civico si riscontra oggi nell'art. 146, comma 1, lett. h) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, "Codice dei beni culturali e del paesaggio": sono tutelate per legge, fino all'approvazione del piano paesaggistico, le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici.
Il riconoscimento normativo della valenza ambientale dei beni civici ha determinato, da un lato, l'introduzione di vincoli diversi e più penetranti e, dall'altro, la sopravvivenza del principio tradizionale, secondo cui eventuali mutamenti di destinazione, salvo i casi di legittimazione delle occupazioni (possesso continuato del terreno per un determinato periodo di tempo, con apporto di migliorie agrarie) e di alienazione dei beni silvo-pastorali, devono essere compatibili con l'interesse generale della collettività che ne è titolare. Tale principio si rinviene nell'art. 41 del regio decreto n. 332/1928, il quale stabilisce che <... a tutte o parte delle terre sia data una diversa destinazione, quando essa rappresenti un reale beneficio per la generalità degli abitanti>.
Il concetto di mutamento di destinazione di cui al precedente art. 41 sorregge la possibilità di utilizzo dei terreni di uso civico per l'esercizio di attività estrattive, con vincolo di restituzione dei terreni stessi per gli scopi ordinari al termine della coltivazione.
Il tratto di congiunzione tra le norme relative agli usi civici e quelle più recenti riguardanti la tutela dei beni ambientali e paesaggistici è rappresentato dalle attività di pianificazione:
1. Piano economico di sviluppo per il patrimonio silvo-pastorale, redatto dal Comune ai sensi dell'art. 12 della legge n. 1766/1927;
2. Piano paesaggistico di cui all'art. 143 del decreto legislativo n. 42/2004.
Il Piano paesaggistico riguarda tutti i beni d'uso civico (terreni convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente, categoria a, e terreni utilizzabili per scopi agricoli, categoria b), mentre il Piano economico di sviluppo riguarda solo i beni di categoria a.
La pianificazione paesaggistica, in funzione dei parametri guida definiti dal Ministero per i Beni Ambientali, Culturali e del Turismo (MIBACT), stabilisce le possibilità di utilizzo dei terreni d'uso civico a fini diversi da quelli originari, in modo temporaneo o permanente, mentre il Piano economico programma lo sviluppo di tali terreni in funzione dei vincoli ambientali e paesaggistici.
Il percorso ideale sopra rappresentato deve essere supportato da una piena conoscenza, a livello regionale, delle zone gravate da uso civico: non sempre ciò si verifica, sia per ritardi da parte regionale della ricognizione delle zone vincolate ad uso civico, sia per la mancata conoscenza dell'esistenza dei vincoli stessi, risalenti anche ai secoli passati, il cui emergere provoca automaticamente la classificazione e destinazione ad uso civico delle zone interessate.
La redazione dei Piani paesaggistici compete alla Regione, in copianificazione con il MIBACT, essendo la materia paesaggistica di competenza esclusiva dello Stato, che si riserva, pertanto, il giudizio finale sulla pianificazione proposta dalla Regione stessa, secondo principi di omogeneità a livello nazionale.
La difficoltà intrinseca della pianificazione paesaggistica, aggiunta alla necessità di coordinamento temporale e di merito delle Amministrazioni statale e regionale, determina ritardi notevoli nella redazione e approvazione dei piani paesaggistici a livello regionale o infraregionale.
La necessità della copianificazione Stato - Regione è stata riconosciuta con il decreto legislativo n. 63/2008, di modifica del decreto legislativo n. 42/2004.
Attualmente risultano approvati o adottati, senza copianificazione in quanto precedenti l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 63/2008, i Piani paesaggistici della Sardegna (ambito costiero) nel 2006 e del Lazio nel 2007, mentre risultano approvati o adottati, con copianificazione, i Piani paesaggistici di Piemonte, Puglia e Toscana.
E' in corso l'aggiornamento del Piano paesaggistico della regione Lazio in copianificazione, mentre sono in corso di redazione i Piani paesaggistici di Calabria, Umbria, Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Marche.
La regione Lombardia ha approvato nel 2010 il Pianto Territoriale Regionale con valenza di Piano Paesaggistico al di fuori di un percorso di copianificazione. Il Piano non contiene le norme d'uso dei vincoli paesaggistici, per cui è in corso la revisione del Piano stesso limitatamente ai beni paesaggistici.
Appare interessante riportate più in dettaglio lo stato di pianificazione paesaggistica della regione Sardegna, in quanto in tale regione risultano soggetti ad usi civici ben 400.000 ettari di terreno, pari al 25% della superficie complessiva dell'isola, con importanti risvolti per lo sviluppo turistico e industriale delle zone interessate, comprese quelle minerarie.
Da dati MIBACT relativi alla Sardegna risulta che nell'anno 2007 è stata siglata l'intesa istituzionale per la copianificazione, seguita nel 2013 dalla sottoscrizione del disciplinare per la verifica del Piano paesaggistico regionale, ambito costiero e la predisposizione di quello in ambito interno. Nel 2016 è stata avviata la definizione di un nuovo disciplinare, sostitutivo di quello del 2013.
Il rilievo rappresentato dalla riorganizzazione in Sardegna del sistema degli usi civici è testimoniato dalla recente copiosa produzione legislativa del Consiglio regionale, di adeguamento della legge regionale sugli usi civici n. 12/1994, ormai superata dalle attuali necessità di sviluppo regionale. Tale legislazione è stata contrastata dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 210/2014 e 103/2017, perché non ha previsto la collaborazione con lo Stato in materia di accertamento, modifica dei vincoli di destinazione e sclassificazione delle zone destinate ad usi civici.
In particolare, l'esigenza regionale di sclassificare (sdemanializzare) ampie zone destinate ad usi civici per permetterne un migliore sviluppo economico, si scontra con l'obbligo costituzionale di copianificare con il MIBACT l'utilizzo dei beni ambientali, senza poter agire autonomamente. I tempi per la conclusione della copianificazione non appaiono oggi prevedibili, per cui è da ritenere che le problematiche in essere permarranno ancora per lungo tempo.

Le attività estrattive e gli usi civici
Non è raro il caso che le attività estrattive debbano essere coordinate con le previsioni circa gli usi civici delle aree destinate agli scavi minerari.
Talvolta, l'accertamento di una zona vincolata ad usi civici avviene successivamente all'avvio dell'attività estrattiva, condotta su terreni comunali regolarmente acquisiti dall'imprenditore minerario o resi disponibili dal Comune stesso: per costante giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato il contratto di vendita del terreno ancora gravato da usi civici è nullo, e la proprietà rientra nell'ambito del demanio comunale.
Appare opportuno che il futuro esercente una attività estrattiva, sin dalla fase autorizzativa, valuti attentamente la presenza del vincolo relativo agli usi civici, anche oltre le indicazioni che possono essere reperite presso gli uffici comunali, per evitare sorprese future sempre possibili.
Come evidenziato nel capitolo precedente, l'assenza di una pianificazione paesaggistica relativa all'utilizzo dei beni ambientali lascia ampi margini di incertezza circa le scelte che potrebbero essere effettuate dalle Amministrazioni competenti in materia di usi civici, in funzione di esigenze specifiche indifferenti agli interessi economici e sociali rappresentati dallo sviluppo delle attività estrattive per l'approvvigionamento delle materie prime.
Pur in assenza di pianificazione paesaggistica, la gestione del vincolo ambientale e paesaggistico legato agli usi civici della zona di interesse estrattivo è sempre possibile: occorre acquisire l'autorizzazione paesaggistica prevista dall'art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004, rilasciata dalla regione o da altro ente da essa delegato, a seguito di parere vincolante del soprintendente. Il procedimento autorizzativo, così come delineato dall'art. 146 sopra citato, trova applicazione, dal 2011, anche alle attività di cava, alle ricerche minerarie e alle attività di miniera.
Le previsioni della pianificazione paesaggistica prevalgono su quelle relative ad altre pianificazioni territoriali, quali il Piano territoriale regionale e il Piano cave, per cui è sempre possibile che l'intervenuta approvazione del Piano paesaggistico successivamente alla data dell'autorizzazione di cava o della concessione di miniera possa modificare di fatto e in modo sostanziale il contenuto del titolo minerario.
La pianificazione regionale delle attività di cava non sempre tiene in debito conto la presenza del vincolo relativamente agli usi civici, anche per la difficoltà di valutare le problematiche ambientali e paesaggistiche presenti nelle singole zone destinate ad uso civico, per cui la presenza di tale vincolo sarà oggetto di valutazioni nella fase autorizzativa per le cave o di concessione per le miniere.
Il vincolo relativo agli usi civici presente su terreni di proprietà comunale è opportuno sia gestito mediante proposta di mutamento temporaneo di destinazione del bene per tutto il tempo necessario, a meno che non si preveda diversamente nel Piano paesaggistico, dimostrando che l'attività estrattiva non compromette l'utilizzo del bene in futuro, anzi ne migliora la fruibilità, nel rispetto della legge n. 1766/1927.
Proposte difformi rispetto a quella di modifica del mutamento temporaneo di destinazione, quali alienazione, permuta, etc, appaiono difficilmente percorribili, per il significato ormai acquisito degli usi civici quali bei ambientali e paesaggistici. Il mutamento temporaneo della destinazione d'uso costituisce la soluzione più agevole dal punto di vista amministrativo, in quanto tutela il bene gravato da uso civico e non fa soccombere l'interesse minerario.
Risulta di tutta evidenza che il progetto di sfruttamento minerario deve prevedere, a fine coltivazione, il ripristino di condizioni favorevoli alla ripresa del godimento del bene d'uso civico, possibilmente apportando miglioramenti alle condizioni iniziali dei terreni ai fini della fruibilità dell'area mineraria dismessa da parte dei beneficiari degli usi civici.
Il principio della permuta del terreno vincolato da usi civici con altro di pari valore e interesse ambientale e paesaggistico è ammesso dalla legge n. 1766/1927 e dal relativo regolamento di attuazione di cui al regolamento n.332/1928.
Le modalità della permuta non sono adeguatamente definite, per cui occorrerebbe valutare caso per caso gli effetti della permuta stessa sul godimento da parte della collettività del bene pubblico destinato a uso civico. La semplice richiesta di equivalenza di superficie in caso di permuta o la non divisibilità dell'area offerta in permuta appaiono caratterizzate da posizioni preconcette ingiustificate, dovendosi valutare, in sede procedimentale, gli effetti delle modifiche alla superficie del bene in funzione dell'effettiva convenienza della collettività. A puro titolo esemplificativo, nel caso di un terreno offerto in permuta con superficie inferiore rispetto a quello originariamente gravato da uso civico, potrebbe essere conveniente da parte pubblica accettare la permuta stessa, qualora le caratteristiche morfologiche, agronomiche o di favore logistico del terreno stesso siano più adeguate al raggiungimento degli obiettivi di godimento dell'uso civico da parte della collettività.
A seguito dell'approvazione della legge n. 221/2015 sulla green economy sono state introdotte, all'art.74, norme più stringenti in materia di esproprio di beni vincolati a uso civico per la realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità (miniere): l'esproprio può essere effettuato esclusivamente dopo aver ottenuto l'autorizzazione al mutamento della destinazione d'uso del bene ad uso civico, salvo il caso in cui la nuova opera sia compatibile con il fine proprio dell'utilizzo del bene a favore della collettività.
Per la gestione delle miniere non si è quasi mai ricorso all'esproprio di aree gravate da uso civico (possibile per la realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico, Cass. Sez. II penale n. 4822 del 7/2/2006), oggi reso più complesso dalla legge sopra citata sulla green economy.
In materia di cave occorre dimostrare nella fase autorizzativa la disponibilità delle aree da interessare da parte dell'attività estrattiva: poiché i terreni gravati da uso civico sono di proprietà comunale (per i terreni di proprietà privata vale il principio dell'affrancamento), l'acquisizione della disponibilità dei terreni da parte del Comune costituirà anche assenso, per quanto di competenza, alla modifica temporanea di destinazione.
Occorre osservare che in materia di usi civici il Comune ha solo potere di proposta, in quanto l'autorizzazione al mutamento temporaneo di destinazione deve essere condiviso, nelle diverse forme previste dalle singole leggi regionali, dalla regione stessa: successivamente alla condivisione regionale, il Comune potrà autorizzare il mutamento di destinazione.
In sede di conferenza decisoria per l'autorizzazione di cava saranno acquisite tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, compresi quelli delle Amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale, dei beni culturali o della tutela della salute de cittadini, in applicazione delle nuove norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi di cui a decreto legislativo n. 127/2016.
Nel caso in cui l'attività estrattiva di cava sia assoggettata a valutazione di impatto ambientale, le posizioni di tutte le Amministrazioni interessate sono acquisite nell'ambito della conferenza dei servizi relativa al procedimento di VIA.
Appare necessario che l'autorizzazione al mutamento di destinazione sia acquisita congiuntamente all'autorizzazione di cava, anche se i lavori estrattivi potranno interessare le aree soggette ad usi civici successivamente all'avvio dei lavori estrattivi stessi.
Un diniego del Comune relativo alla proposta di mutamento di destinazione, accompagnato da analoga presa di posizione regionale, costituirà elemento valido per il diniego dell'autorizzazione di cava. Occorre osservare, comunque, che il diniego del Comune riguarderebbe, inevitabilmente, la messa a disposizione di un terreno di proprietà comunale, quindi sarebbe da risolvere, a priori, l'acquisizione della disponibilità del terreno stesso, condizione necessaria per l'ottenimento dell'autorizzazione di cava.
L'autorizzazione al mutamento di destinazione deve essere accompagnata dal versamento di un ammontare a favore del Comune e a ristoro della popolazione che usufruisce degli usi civici per i mancati frutti, per il mancato esercizio dell'uso civico originario, per le occupazioni e il depauperamento delle risorse.
Generalmente, il canone annuo versato al Comune è posto in relazione con in volume annuo escavato. L'ammontare del canone potrà essere determinato dall'Agenzia del territorio.

Conclusioni
Le mutate previsioni normative in merito alla presenza e gestione delle aree con vincolo per usi civici, con trasformazione da beni di rilevanza economica in beni ambientali e paesaggistici, finalmente e chiaramente interpretate con la sentenza della Corte Costituzionale n. 210/2017, impongono anche agli operatori del settore estrattivo riflessioni e azioni conseguenti.
Occorre seguire con attenzione i processi a livello comunale e regionale relativamente ai piani economici di sviluppo delle zone gravate da usi civici e ai Piani paesaggistici regionali che, in quanto sovraordinati rispetto ai piani territoriali, possono condizionare lo sviluppo di interi bacini minerari. L'attività di sfruttamento dei giacimenti minerari, pur non essendo recessiva rispetto a possibili differenti destinazioni del territorio, risente delle accresciute sensibilità ambientali da parte della popolazione localmente interessata, che si riflettono anche sull'impiego delle zone vincolate per usi civici.
L'attuale legislazione, statale e regionale, spinge per il contemperamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, pertanto, è necessario riconoscere il valore ambientale e paesaggistico connesso agli usi civici, anche confrontandosi con le associazioni ambientaliste, ma richiedendo analoga attenzione per le esigenze della produzione mineraria.
La conferenza dei servizi decisoria costituisce il consesso in cui possono esprimersi e accordarsi le differenti posizioni, anche radicalmente contrastanti: una gestione aperta e intelligente della conferenza stessa, aperta all'ascolto dei legittimi plurimi interessi in gioco, può favorire l'incontro di idee apparentemente a prima vista inconciliabili. Posizioni di chiusura, da qualunque parte provengano, accentuano i problemi e non ne propongono la soluzione.