La polizia mineraria e le pertinenze delle cave e delle miniere: i confini dell’attività mineraria


Premessa

Nei lavori che si svolgono negli impianti di trattamento dei minerali e in quelli connessi con le miniere e con le cave, nonché nei lavori che si svolgono nelle pertinenze delle miniere, si applicano le norme di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, Testo unico sulla sicurezza del lavoro. L'applicazione delle norme predette, ai sensi dell'art. 2 del D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, Norme di polizia delle miniere e delle cave, compete agli Organi di vigilanza individuati dalle regioni. Il decreto legislativo n. 81/2008, ancora, all'art. 62, comma1, lett. c), con riferimento ai luoghi di lavoro, prevede la non applicazione del decreto stesso alle "industrie estrattive". Si tratta, a ben vedere, di un contrasto sostanziale con il DPR n. 128/1959, in quanto il Testo unico sulla sicurezza del lavoro si applica all'attività aziendale, mentre le Norme di polizia mineraria si applicano alle attività estrattive di cava e di miniera in senso stretto. Il DPR n. 128/1989, ormai vetusto e addirittura soppresso in molte sue parti dai recenti provvedimenti taglia leggi, fatica addirittura a delimitare i confini circa l'effettiva attività mineraria da assoggettare al controllo da parte dell'Organo di vigilanza mineraria.
Non sono soggetti alle Norme di polizia delle miniere e delle cave, ai sensi dell'art. 1, comma 3, lett. a) e b) le seguenti attività:
• i lavori negli stabilimenti non compresi nel ciclo produttivo minerario aventi per oggetto l'utilizzazione dei prodotti minerari;
• le escavazioni di sabbie e ghiaie nell'alveo dei corsi d'acqua e nelle spiagge del mare e dei laghi, sempre che i giacimenti di tali sabbie e ghiaie non formino oggetto di permesso di ricerca o di concessione mineraria ai sensi del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443 (legge mineraria).
Succede sempre più spesso che occorra definire concretamente l'effettivo confine tra attività mineraria e non: si consideri in via puramente esemplificativa la predisposizione, prevista dalle normative sopra richiamate, del Documento di Valutazione dei Rischi o del Documento di Sicurezza e Salute i quali, essendo relativi a uno specifico luogo di lavoro, necessitano dell'effettiva delimitazione dell'attività mineraria. Talvolta, il problema si è presentato in sede di accertamento da parte dell'Organo di vigilanza di un infortunio occorso in un impianto aggetto di potenziale differente interpretazione circa la sua appartenenza al ciclo minerario, per la difficoltà di individuare l'Organo effettivamente competente.


Il confine tra l'attività estrattiva e l'attività relativa all'utilizzo del minerale estratto
Il confine tra l'attività estrattiva e quella legata al riutilizzo del minerale estratto è stato sempre oggetto di considerazioni e valutazioni non sempre confrontabili, soprattutto in relazione a situazioni operative interpretabili in modi discordanti tra le diverse Amministrazioni competenti in materia di vigilanza sulle norme di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei terzi interessati. I riferimenti reperibili nel D.P.R. n. 128/1959, necessariamente, sono estremamente semplificati, e non ricomprendono tutti i casi effettivamente riscontrabili nella ordinaria attività produttiva e di vigilanza.
La regione Lombardia, con deliberazione n. 7/7857 del 25 gennaio 2002, al punto 6.4 dell'allegato A, ha tentato di fare chiarezza in merito alle competenze in materia di vigilanza sulle Norme di polizia mineraria negli impianti di lavorazione della sabbia e ghiaia e di produzione delle materie prime per la calce e il cemento, con interpretazione limitata, pertanto, a soli due settori, seppure importanti, dei lavori svolti negli impianti stessi.
Quanto segue costituisce una interpretazione la più oggettiva possibile circa i limiti operativi e gestionali all'interno dei quali è circoscritta l'attività estrattiva, risentendo, comunque, della mia interpretazione giuridica e tecnico-amministrativa maturata nel corso degli anni.
Con riferimento alle miniere, a norma dell'art. 23 della legge mineraria, sono pertinenze della miniera stessa gli edifici, gli impianti fissi interni o esterni, i pozzi, le gallerie, nonché i macchinari, gli apparecchi e gli utensili destinati alla coltivazione della miniera, le opere e gli impianti destinati all'arricchimento del minerale. La legge mineraria accomuna in unica nozione le pertinenze vere e proprie con cose, quali pozzi o gallerie, che essendo incorporate nel giacimento, tecnicamente non sono distinguibili da esso, e non potrebbero avere una propria individualità: è da ritenere che la legge abbia voluto considerare il complesso minerario nella sua unitarietà, organizzato per l'esercizio dell'impresa mineraria.
E' importante, per le implicazioni in materia di vigilanza, che la pertinenza mineraria sia in disponibilità del titolare della cosa principale (il concessionario), in quanto il rapporto pertinenziale non si instaura se lo stesso titolare non ha la disponibilità del bene.
L'enumerazione di cui all'art. 23 ha valore esemplificativo e non limitato ai macchinari che si trovano dentro la miniera: a titolo esemplificativo si richiamano, quali pertinenze minerarie, gli impianti di trasporto del minerale e le discariche di rifiuti minerari. Quanto enunciato per le miniere è riferibile anche al settore delle cave, oggetto di meno attenzione esplicativa da parte del regio decreto n. 1443/1927, tutto incentrato sulle pertinenze minerarie: valgono le definizioni riportate all'art. 2 del D.P.R. n. 128/1959.
E' possibile che le singole regioni possano modificare la distribuzione delle competenze in materia di vigilanza per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori tra l'Organismo di vigilanza mineraria e le ASL, in relazione alla propria autonomia legislativa concorrente in materia di tutela dei lavoratori di cui al Titolo V della parte seconda della Costituzione.
Si riportano di seguito gli esempi applicativi più rilevanti volti a delimitare le lavorazioni di cava o di miniera rispetto a quelle aventi per oggetto l'utilizzazione dei prodotti minerari.

1. Impianto di trattamento o lavorazione del minerale facente capo a Società differente rispetto a quella titolare dell'autorizzazione o della concessione
Qualora il titolare della cava o della miniera non abbia in disponibilità una o più pertinenze, le quali sono, pertanto, intestate a Società non intestataria di titolo minerario, la competenza in materia di vigilanza sulla tutela dei lavoratori non può essere esercitata dall'Organo di vigilanza mineraria, in quanto non siamo in presenza di pertinenza mineraria. Perché si verifichi concretamente il caso sopra esaminato occorre che si possa chiaramente delimitare il luogo di lavoro relativo all'impianto non pertinenziale rispetto al resto degli impianti pertinenziali: nel caso in cui la distinzione non possa essere agevolmente riscontrata occorre valutare attentamente le reciproche interferenze, attribuendo la competenza in materia di vigilanza all'Organo maggiormente coinvolto dalla tipologia della lavorazione in corso. L'attribuzione della competenza dovrebbe essere il risultato di un accordo operativo tra gli Organi di vigilanza.
La Società intestataria dell'impianto privo di rapporto pertinenziale, pertanto, sarà assoggettata alla vigilanza, per tale tipologia impiantistica, da parte degli Organi del Sistema Sanitario Nazionale: a tali Organi dovranno essere indirizzate tutte le comunicazioni previste dalla legislazione prevenzionistica in vigore e di cui al decreto legislativo n. 81/2008, relativamente ai luoghi di lavoro.
Segnalo che il D.P.R. n. 128/1959 non contiene previsioni normative specifiche rispetto agli impianti di trattamento o di lavorazione, tutti ricadenti nell'ambito applicativo del decreto legislativo n. 81/2008. Il caso sopra esaminato riguarda essenzialmente le attività di cava, qualora la lavorazione del materiale estratto avvenga in un impianto non appartenente al titolare dell'autorizzazione.

2. Impianto di trattamento o lavorazione del minerale in luogo distante dal sito estrattivo
Sovente, gli impianti di trattamento o lavorazione delle miniere o delle cave si trovano a distanza anche considerevole dal sito estrattivo, soprattutto per motivi logistici (disponibilità di aree idonee per la lavorazione e lo stoccaggio, disponibilità di acqua e di energia elettrica, possibilità di accesso al sito da parte dei mezzi di trasporto del minerale verso i luoghi di utilizzo, etc). Alcune leggi regionali relative alle cave prevedono disposizioni particolari per gli impianti di lavorazione all'interno del perimetro autorizzativo, soprattutto a livello urbanistico, mentre non si interessano degli impianti allocati distanti dal sito estrattivo.
A parere dello scrivente si tratta di un errore concettuale legato alla mancata comprensione del significato sostanziale di cava: la cava, al pari della miniera, è una lavorazione finalizzata alla produzione di un minerale elencato all'interno della seconda categoria di cui al regio decreto n. 1443/1927, pertanto, qualora non si consideri il relativo impianto di trattamento o lavorazione, non si affronta in termini completi l'intero ciclo produttivo della cava stessa: la cava, essendo definita quale lavorazione, è tale solo se si considera tutto il complesso degli impianti finalizzati a completare la lavorazione stessa.
La competenza in materia di controlli per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori ricade sull'Organo di vigilanza mineraria, indipendentemente dalla distanza dell'impianto dal sito estrattivo. Poiché trova applicazione il decreto legislativo n. 81/2008, non risulta necessaria la denuncia di esercizio e la conseguente nomina del direttore responsabile del luogo di lavoro e del sorvegliante.
3. Impianto di trattamento o lavorazione che riceve tout-venant da più siti estrattivi
Si riporta il tipico esempio di un impianto per la lavorazione di inerti per sabbia e ghiaia che lavora del tout-venant da più cave sparse sul territorio. Qualora l'impianto non risulti in disponibilità di alcuno dei titolari di autorizzazione di cava, tale impianto risulta escluso dal ciclo estrattivo di ognuna delle cave, pertanto, l'Organo di vigilanza mineraria non esercita alcuna funzione di controllo.
Qualora l'impianto di lavorazione sia nella disponibilità di uno dei titolari dell'autorizzazione di cava l'Organo di vigilanza mineraria può esercitare l'attività di controllo solo nel caso in cui il tout-venant trattato sia per la maggior parte di provenienza dal sito estrattivo di cava di cui il titolare dell'autorizzazione abbia in disponibilità l'impianto. La situazione precedente si verifica, generalmente, qualora le attività estrattive di cava siano di ridotte dimensioni, tali da non giustificare l'investimento per la realizzazione di un impianto di lavorazione dedicato.

4. Impianto al servizio di uno stabilimento per la produzione di calce o cemento
Nel caso di un impianto di lavorazione al servizio di uno stabilimento per la produzione di cemento da attività estrattive di marna da cemento o calcare e argilla o di calcare per la produzione di calce, il ciclo minerario si completa con la messa in disponibilità del materiale omogeneizzato da inviare nei forni per la produzione del cemento o della calce. In via generale, è da ritenere che il ciclo minerario si concluda allorquando il minerale subisce una trasformazione chimica ad alta temperatura nei forni di produzione.
La condizione precedente sussiste pienamente solo qualora il tout-venant lavorato risulti di provenienza dal sito estrattivo, di cava o di miniera, la cui autorizzazione o concessione risulti intestata al titolare dell'impianto di lavorazione stessa.
Ormai sempre più spesso il minerale necessario alla alimentazione dei forni, ai fini di una corretta predisposizione della miscela industriale necessaria alla produzione della calce o del cemento, proviene in quantità rilevanti da siti estrattivi esterni al ciclo minerario principale, e può risultare in termini percentuali prevalente rispetto a quello estratto da parte del titolare. Nel caso in cui si verifichi una prevalenza nella miscela di materiale proveniente dall'esterno non si può più parlare di lavorazione all'interno di una pertinenza mineraria, quindi la competenza in materia di controlli non ricade sull'Organo di vigilanza mineraria.

5. Contemporanea presenza di un impianto di lavorazione mineraria e di un impianto per la trasformazione del minerale estratto
Il caso più rilevante è rappresentato dalla contemporanea presenza di un impianto di lavorazione per la produzione di sabbia e ghiaia e di un impianto per la produzione di calcestruzzo o di bitumati.
In via puramente teorica, il riparto delle competenze risulta molto chiaro, rientrando il controllo relativo all'impianto per la produzione di sabbia e ghiaia tra quelli previste all'interno del ciclo minerario, di competenza dell'Organo di vigilanza mineraria, cui è sottratto quello relativo al resto degli impianti per la trasformazione del minerale estratto. Nella pratica operativa la delimitazione dei luoghi di lavoro, estrattivo e di trasformazione, non appare agevole: i due impianti hanno in comune le vie di transito, i servizi, gli impianti di terra, i mezzi di trasporto, etc.
Si ritiene che la soluzione più corretta in materia di vigilanza debba essere concordata tra i due Organi deputati, in funzione della rilevanza, in termini organizzativi, strumentali e di volume di materiale trattato dei due impianti.
L'effettuazione di sopralluoghi congiunti costituisce spesso la soluzione più interessante, in quanto risolve anche i problemi giuridici e amministrativi legati al riparto di competenze tra i due Organi di vigilanza: in caso di attivazione del sistema sanzionatorio o di indagini su un infortunio grave si evitano contestazioni in merito alla competenza dell'Organo che può attivare la sanzione o che può condurre l'indagine sull'infortunio stesso.

6. Contemporanea presenza di un impianto di lavorazione mineraria e di un impianto per il trattamento di rifiuti
Molte regioni incentivano la localizzazione di impianti per il trattamento dei rifiuti, essenzialmente materiali da demolizione, all'interno dei siti estrattivi di cava, al fine di utilizzare le sinergie legate alla similitudine di tale trattamento con quello relativo alle sabbie e ghiaie. Il trattamento dei materiali da demolizione deve sottostare alla normativa di cui al decreto legislativo n. 152/2006, Norme in materia ambientale, con localizzazione separata della relativa lavorazione rispetto a quella per sabbia e ghiaia, pertanto, risulta relativamente facile distinguere correttamente i luoghi di lavoro estrattivo e di trattamento rifiuti.

7. Controlli in materia di discariche di rifiuti minerari
La discarica di rifiuti minerari, qualora accolga materiale di risulta proveniente da un unico sito estrattivo costituisce una pertinenza mineraria, intimamente legata al ciclo produttivo minerario, del quale costituisce una parte ineliminabile.
La discarica mineraria può essere costituita, indifferentemente, da minerali solidi, fangosi o allo stato liquido o semiliquido, cambiando soltanto il metodo per la messa a dimora, tale da garantire la stabilità della discarica stessa e la tutela dell'ambiente da inquinanti dell'aria, dell'acqua e del suolo.
Nel caso in cui i rifiuti provengano da più siti estrattivi, tipico è il caso dei fanghi di lavaggio di sabbie e ghiaie che originano da più impianti di lavorazione, la soluzione da ricercare da parte degli Organi di vigilanza è del tutto simile a quanto prospettato al precedente punto 3.
Nel caso della discarica di rifiuti minerari occorre anche fare riferimento alle previsioni di cui al decreto legislativo n. 117/2008, che prevede adempimenti semplificati per la messa a dimora di rifiuti inerti. In Italia la quasi totalità delle discariche minerarie è costituita da tale tipologia di rifiuti, pertanto, l'esperienza maturata nelle numerose attività di smaltimento può essere utilizzata anche per migliorare i controlli, riducendo i rischi per la collettività. Le discariche relative alle cave di pietra ornamentale, costituite per la gran parte da residui della preparazione dei cantieri di coltivazione, dallo scarto di sezioni di giacimento non utilizzabili per la produzione di blocchi e di materiale proveniente dalla riquadratura dei blocchi stessi sono, sempre più spesso, soggette ad attività di ripresa produttiva, assimilabile spesso a una effettiva coltivazione, per la produzione di granulati, materiali per l'industria chimica e per l'industria ceramica o dei sanitari. Si tratta di una effettiva attività mineraria, soggetta al controllo dell'Organo di vigilanza mineraria.


Conclusioni
L'Attività degli Organi di vigilanza, nelle situazioni di non chiarezza rispetto a compiti e funzioni, può essere di forte ostacolo allo sviluppo dell'industria mineraria, in quanto si possono ingenerare dubbi interpretativi e applicativi della normativa generale e specifica in materia di tutela della salute e della sicurezza delle aziende estrattive, alimentati anche dalla differente visione della realtà produttiva da parte degli Organi stessi.
La specificità dell'industria estrattiva ha bisogno di interloquire con un Organo di vigilanza professionalmente e culturalmente preparato, con il quale impostare, anche attraverso le organizzazioni datoriali e sindacali, un moderno sistema della prevenzione: l'incertezza su chi debba interloquire con la base imprenditoriale non contribuisce certamente al raggiungimento degli obiettivi di tutela dei lavoratori. Rispetto al passato si nota una maggiore ricerca di intesa da parte degli Organi di vigilanza, per evitare conflitti di competenze e sovrapposizione di funzioni. Sarebbe auspicabile che le regioni, in sede di coordinamento nazionale, approvino un documento relativo alla materia oggetto della presente nota, nell'interesse dei lavoratori e delle attività produttive: l'ANIM manifesta sin d'ora la propria disponibilità a collaborare per la redazione di tale documento.
Talvolta l'Organo di vigilanza mineraria si avvale, a seguito della sottoscrizione di specifica convenzione, del supporto professionale delle ASL per particolari problematiche, soprattutto riferibili alla sicurezza delle macchine, alla sicurezza elettrica e al controllo degli inquinanti negli ambienti di lavoro.
Il supporto di cui sopra, certamente necessario per porre rimedio a carenze tecniche e strumentali, testimonia la necessità da parte dell'Organo di vigilanza mineraria di acquisire una migliore formazione professionale in settori che ormai costituiscono la punta di diamante del sistema della prevenzione.