Riordinare la follia

Analisi, rilievo, recupero e riqualifica dell'ex manicomio di san Girolamo in Volterra

Riordinare la follia, tre parole che racchiudono non solo un percorso ma anche una richiesta d'aiuto del luogo stesso, teatro di grandi innovazioni in campo medico attualmente abbandonato, smembrato e privato della sua identità. Termini che combinati tra di loro danno origine ad un singolare paradosso: difficile, se non impossibile riordinare un luogo nato per ospitare il disordine mentale.
Obiettivo del progetto è restituire il precedente splendore a quella che fu una piccola cittadella della mente autosufficiente, oggi ospitante l'ospedale di Volterra inserito in un contesto non idoneo presentante edifici abbandonati e degrado generalizzato in tutta l'area.
In tutte le epoche sono esistiti i folli e reclusi, differenti erano solamente i termini con i quali venivano definiti o i metodi con cui venivano curati.
Il concetto di manicomio come luogo di cura si sviluppa durante le epoche storiche, di pari passo con le scoperte mediche e con il mutare dell'approccio nei confronti del malato mentale. Fino al 1700 i disturbi mentali non vennero riconosciuti come malattia e pertanto non si reputò necessario adibire strutture all'ospitalità di questi particolari soggetti. Nella seconda metà del 1700 si diffuse la spiegazione della follia in termini di malattia grazie al medico francese Philippe Pinel che contribuì alla nascita della psichiatria e di conseguenza all'affermazione di una nuova istituzione: il manicomio.
In Italia non si sviluppò un vero e proprio sistema ma la maggior parte dei ricoveri si basò sul recupero di edifici esistenti, come conventi o reparti ospedalieri.
Dato l'aumento dei ricoverati in tutta Italia, gli spazi di recupero sfruttati sino a quel momento non furono più sufficienti, rendendo necessaria la costruzione di nuovi edifici ad hoc e l'emanazione di leggi che ne regolamentassero i ricoveri e le strutture stesse.
Principale protagonista, insieme ai malati, divenne l'architettura manicomiale, scenario che vide medici e direttori collaborare con progettisti nel tentativo di realizzare prima strutture e poi intere città, sempre più all'avanguardia.
Questo sino agli anni '60 quando ebbe inizio il movimento rivoluzionario che sfociò nella chiusura definitiva dei manicomi italiani. Artefice di questa rivoluzione fu Franco Basaglia con la legge 180 del 1978, che sancì l'abolizione totale e definitiva del manicomio.
Fu proprio conseguenza di questo decreto che i manicomi divennero luogo di abbandono, degrado e vuoti urbani.
Volterra fu baluardo dell'innovazione, per i suoi malati non volle catene ma volle vederli liberi di lavorare riguadagnando la dignità sottratta dalla società. Con i suoi numerosissimi edifici, associati alle colonie agricole dislocate in un'area dalle grandi potenzialità naturali di circa 400.000 m2, divenne uno dei più grandi ed importanti manicomi villaggio di tutta Italia, grazie anche al suo luminare direttore Luigi Scabia.
Il piccolo paese si trova in Toscana, a pochi chilometri da Pisa. Poco distante dalle mura cittadine sorge il tema di analisi, l'Ex Frenocomio di San Girolamo.
Il percorso di ricerca durato circa un anno, parte dallo studio urbano, basato sulla norma UNI 7310/74 alla quale sono state apportate alcune precisazioni per adattarsi al nostro caso: è stato introdotto un segno particolare per indicare i boschi che costeggiano su tre lati il perimetro del villaggio manicomiale, ed è stato utilizzato un diverso tipo di tratteggio per indicare se l'edificio fosse in stato di abbandono o meno ricorrendo all'aggiunta del colore per identificare gli anni di realizzazione dei padiglioni.
Tramite questi studi iniziali si sono potute ottenere informazioni sia sulle potenzialità storico-artistiche e strutturali degli edifici sia sul loro stato di manutenzione definendone un grado di priorità d'intervento, per decretare quale padiglione ne avesse maggior necessità. Si è sviluppato un sistema di analisi basato sulla schedatura di ogni edificio, comprendendone la rilevanza sia storico-architettonica che strutturale, permettendoci di creare un'ipotetica scala di priorità costituita da tre gradi di interventi ognuno di esso legato ad una fascia percentuale.
Tramite questa indagine si è deciso di intervenire sul padiglione Ferri collocato nella parte più alta del manicomio, il Poggio alle Croci.
Fu iniziato nel 1930 e terminato nel 1933, risulta essere il più grande di tutto il manicomio (2000 m2 a piano) registrando nel 1943 un picco di 1201 ricoverati.
Nel 1958 venne ricoverato Nannetti Oreste Fernando che in 15 anni incise un graffito lungo 180 m sulla facciata del padiglione realizzando un importante opera di art brut attualmente non tutelata.
Di questo padiglione è stato effettuato il rilievo geometrico tramite il quale si è verificato che risulta essere un fuori scala nel contesto urbano, formato da un unico corpo di fabbrica e due piani fuori terra.
Tenendo quest'ultimo come cardine di tutto il progetto urbano, si è sviluppata una proposta di riqualifica sia a livello di mastrerplan che di dettaglio per il padiglione scelto basandosi sulla memoria storica locale.
Partendo dal funzionante presidio ospedaliero si è deciso di suddividere in 8 ideologiche macrosezioni l'intera area, con funzioni differenti ma tra di loro correlate basandosi sul recupero dei vuoti e delle strutture dismesse.
Le nuove funzioni proposte si collegano tra di loro attraverso un filo logico.
Partendo dal polo ospedaliero, al quale è stata affiancata la facoltà di medicina, si generano dei percorsi tematici legati all'ambito della "mente", incentrando il nuovo villaggio sul recupero delle facoltà mentali tramite l'istruzione, la socializzazione, l'arte e la cultura. In questo ampio contesto trova una concreta collocazione lo spazio mnemonico, dedicato al ricordo del passato tramite dei percorsi che collegano visivamente tutto il contesto urbano con il Padiglione Ferri, (riqualificato come museo manicomiale e centro sociale), collegandone il centro del giardino con i vertici dei padiglioni principali. Per questi ideologici collegamenti è stato utilizzato un unico materiale (l'alabastro) con tonalità differenti per ogni padiglione così da richiamare visivamente il collegamento concettuale al museo. Per ottenere un effetto visibile anche di sera i vialetti sono stati delimitati da fasci luminosi.
Dovendo ripensare all'assetto vegetativo si è deciso di riproporre in modo alternativo il concetto di bosco. Partendo dalla collocazione delle piante che per necessità sono state abbattute si è prevista la realizzazione di nuovi alberi in acciaio corten con diverse altezze i cui rami sorreggono vere e proprie chiome, realizzate tramite pannelli in vetro strutturale con differenti pendenze per migliorare lo scolo dell'acqua.
In contrasto a questi, nella parte opposta del giardino, sono state collocate delle nuove piantumazioni.
Gli alberi in corten hanno una duplice funzione, delimitano e sorreggono una pensilina attigua al graffito inciso sulla facciata dal recluso Nannetti in modo da salvaguardarlo dalle intemperie realizzando una teca vetrata e creando l'ultima sala del percorso museale.
Essendo un intervento su larga scala, è stato analizzato l'aspetto finanziario per dimostrare che il lavoro proposto può dare nuovo valore all'area e può essere sostenibile economicamente.
Analizzando sia il costo dell'opera che i possibili investitori reali si è calcolato il tempo necessario per poter ripagare il debito iniziale ottenendo inoltre un tasso di rendimento interno sempre positivo e crescente.
Riordinare, quindi non solo come ricomporre le tessere di un puzzle, ma anche emblema della restituzione di una più ampia dignità urbana. Le strutture non saranno più meri contenitori abbandonati a sé stessi, i vuoti lasciati dalla legge Basaglia verranno riempiti tramite una nuova identità, legata al passato ma proiettata verso il futuro.
Quello che è stato l'ospedale psichiatrico diventa così luogo della città a pieno titolo, spazio della comunità, sito civico, nuova Agorà, stazione di intermodalità culturale, artistica e spirituale.