Facciamo il punto

Il " fresato d'asfalto" alla luce del nuovo D.M. 69/18


Cos'è il fresato d'asfalto?
Il "conglomerato bituminoso di recupero" meglio noto come "fresato d'asfalto" è un aggregato particolare la cui composizione granulometrica è caratterizzata da elevata percentuale di fini rispetto alla miscela d'origine. Tale aggregato è particolare perché contiene anche "bitume invecchiato". I materiali costituenti sono gli stessi del conglomerato bituminoso vergine! Il fresato d'asfalto proviene dall'azione disgregante della fresa meccanica a freddo sulla pavimentazione d'asfalto ammalorata. Il cilindro dentato della fresa meccanica, ruotando sul suo asse, entra in profondità nella sede stradale e disgrega, frantuma e solleva il vecchio conglomerato della pavimentazione. Il conglomerato bituminoso rimosso invece dall'azione di taglio di una pala meccanica o dalla percussione di un martello pneumatico che lo frantuma in blocchi e scaglie è detto "scarificato". Ogni anno in Italia si producono circa 10 milioni di t di conglomerato bituminoso di recupero. E' una cifra notevole che corrisponde a circa un 18% di tutti i cosiddetti rifiuti da C&D (circa 56 Mt).
Un'altra caratteristica importante del "fresato d'asfalto" è che può essere interamente recuperato sia nel conglomerato bituminoso a caldo ma anche nel "freddo", oppure può essere trasformato in un materiale inerte da utilizzarsi in ambito stradale per la realizzazione di rilevati, riempimenti, piazzali e quant'altro. E' quindi un prodotto 100% riciclabile che, a differenza di tutti gli altri materiali da costruzione e demolizione, i cosiddetti rifiuti da C&D quali calcestruzzo, macerie, muratura, laterizi, consente anche il recupero del potere legante del bitume. Proprio questo aspetto lo rende particolarmente interessante e prezioso per gli operatori del settore stradale soprattutto se proprietari di impianti specifici di confezionamento.


Il fresato d'asfalto e il nuovo Regolamento che ne prevede la trasformazione in EoW
In determinate condizioni e nel rispetto di tutti i punti previsti dall'art. 184 bis del D.Lgs. 152/06 (Testo Unico Ambientale) il fresato d'asfalto può essere anche "sottoprodotto" ma più frequentemente è un "rifiuto" individuato dal codice EER 170302. In questo secondo caso, per il suo recupero, vige la nuova normativa espressa dal DM 69/18 "Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di conglomerato bituminoso ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2 del D.Lgs. 152/06" entrata in vigore il 03/07/2018.
Se il materiale è un "rifiuto" da recuperare, l'impresa che lo ha prodotto deve trasferirlo in un centro di trattamento autorizzato. Il fresato d'asfalto verrà perciò caricato su autocarro per il trasporto e conferito a un impianto di recupero e trattamento rifiuti. Il trasportatore deve essere iscritto all'Albo nazionale gestori ambientali per il trasporto dei rifiuti speciali non pericolosi. Il trasporto deve essere accompagnato da FIR (Formulario di identificazione del rifiuto).
L'impianto per il recupero e il trattamento del fresato = rifiuto, deve essere autorizzato per ricevere il codice EER 170302. Può essere autorizzato in "procedura ordinaria" o in "procedura semplificata". In questo secondo caso (D.Lgs.152/06 art. 216), restano in vigore i limiti quantitativi massimi previsti dal DM 5 febbraio 1998 ovvero 97.830 t in ingresso da stoccare in R13 e i limiti per le emissioni in atmosfera saranno quelli previsti nell'allegato 1, suballegato 2 del DM medesimo. E' l'imprenditore titolare dell'impianto di recupero che stabilirà i quantitativi annuali da trattare, oggetto della sua autorizzazione semplificata, senza eccedere quelli di legge. Se l'impianto è invece in possesso dell'AIA o di una autorizzazione per il recupero rilasciata ai sensi degli artt. 208 (autorizzazione unica e varianti sostanziali), 209 (rinnovo) o 211 (impianti di ricerca e sperimentazione) del D.lgs. 152/06 ovvero di "autorizzazioni ordinarie", non ci saranno limiti quantitativi del rifiuto in ingresso o nemmeno limiti per il suo recupero mediante trasformazione in "granulato"; i valori di emissione in atmosfera e ogni altra disposizione ambientale da rispettare, saranno comunque concordati con l'autorità competente.
A questo punto però entra in vigore il DM 69/18 e presso l'impianto autorizzato (in procedura ordinaria oppure semplificata) che ha ricevuto il rifiuto si deve attuare il processo per la sua trasformazione in "End of Waste" ovvero "fine rifiuto" ovvero "materia prima seconda" anche se questa dizione, di uso comune, è considerata impropria. Il fresato trasformato prenderà il nome di "granulato di conglomerato bituminoso". Di seguito le condizioni previste dal DM 69/18 per la trasformazione da rifiuto a fine rifiuto. Il fresato d'asfalto cessa di essere qualificato come rifiuto e diventa granulato se:
1) è utilizzabile per produrre miscele bituminose a caldo, per produrre miscele bituminose a freddo, per produrre aggregati legati idraulicamente e non legati.
2) il materiale va sottoposto a test di cessione che non deve superare i valori limite dei 19 parametri di tab. b.2.2 del DM e deve essere controllato anche il contenuto degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e dell'amianto in conformità alla tab. b.2.1 del DM.
3) vanno determinate le caratteristiche prestazionali (presenza di materie estranee, distribuzione granulometrica secondo EN 933-1 e natura degli aggregati secondo EN 932-3).
All'esito positivo delle verifiche, il gestore dell'impianto "produttore di granulato di conglomerato bituminoso" deve redigere la Dichiarazione di Conformità (DDC) in atto notorio secondo quanto definito nell'Allegato II del DM 69/18.
Tutto quanto sopra esposto va applicato su lotti / cumuli separati di volume massimo pari a 3.000 m3.
In pratica, al raggiungimento della dimensione massima di 3.000 m3 per ogni cumulo di rifiuti, il gestore dell'impianto provvederà a far effettuare le prove di qualifica del prodotto; le prove chimiche dovranno essere eseguite da un laboratorio terzo certificato e saranno le stesse per qualsiasi destinazione finale ma quelle di caratterizzazione prestazionale saranno diverse a seconda che il materiale sia destinato ad una miscela di conglomerato bituminoso oppure qualificato come aggregato per opere di ingegneria civile e costruzione di strade. Per l'utilizzo nella produzione dei conglomerati bituminosi a caldo, il granulato deve essere conforme alla norma UNI EN 13108-8; in particolare deve essere determinata la dimensione massima del granulato e la classificazione granulometrica degli aggregati dopo estrazione del bitume con espressione della dimensione minima e massima (d/D). Nulla è precisato per l'utilizzo nella produzione di conglomerati bituminosi a freddo.
Per l'utilizzo nella produzione di aggregati per strade il granulato deve essere conforme alla norma UNI EN 13242 e sottoposto a marcatura CE con VVCP 2+ e 4 secondo norme vigenti.


Errori formali del testo di legge e possibili migliorie

Alcuni errori formali ma anche aspetti controversi presenti nel DM 69/18, mettono in difficoltà gli operatori del settore. La nuova gestione dei cumuli da 3.000 m3, per esempio, richiede spazi e aree di lavoro molto ampie di cui non sempre l'impresa o meglio "l'impianto di conferimento e trattamento" dispone, soprattutto se viene richiesta un'area separata per il deposito del rifiuto, un'area separata per la sua lavorazione e un'area separata per lo stoccaggio definitivo del granulato. Per non perdere la tracciabilità e poter effettuare una corretta DDC, la separazione dei lotti dovrebbe avvenire fin dalla "messa in riserva" per continuare anche sui cumuli di granulato. Diversamente è quasi impossibile. Viene spontaneo chiedersi se questo eccesso di "tracciabilità" abbia veramente una ragione di essere considerato che i parametri che hanno effetto sull'ambiente devono comunque essere sempre rispettati, soprattutto sul granulato che non è più un rifiuto!
Le analisi prevedono che i campioni vengano prelevati secondo le metodiche definite dalla norma UNI 10802 specifica per il campionamento dei rifiuti e non dei prodotti (il fresato d'asfalto in realtà è prima di tutto un "prodotto" che per essere recuperato viene gestito come un rifiuto). Sarebbe stato più appropriato richiamare la norma EN 932-1 - metodi di prova per determinare le proprietà degli aggregati riciclati, in quanto più aderente alle previsioni del provvedimento in esame. Inoltre, in merito alla cessazione della qualifica di rifiuto, non si comprende bene se è il granulato che deve essere conforme alla norma UNI EN 13242 (art. 3 comma 1 lettera b) o se lo deve essere il materiale impiegato nella costruzione di strade contenente anche il granulato come materiale costituente (Allegato 1 Parte a). Questione questa importantissima ai fini della marcatura CE.
I laboratori "certificati" da utilizzare per le analisi chimiche, sono in realtà laboratori accreditati (secondo una ulteriore precisazione ministeriale) ma sul territorio allo stato attuale ne esistono pochissimi con i requisiti adeguati. Ciò determina ulteriori difficoltà e incremento dei costi.
Presso l'impianto di trasformazione o presso la sede legale dell'azienda, deve essere conservato per 5 anni anche un campione del lotto analizzato per poter effettuare analisi di controllo in caso di contradditorio. Questo va fatto per ogni DDC rilasciata. La conservazione deve avvenire in maniera tale da non alterare i campioni. Anche questa richiesta appare eccessiva e poco funzionale. Le imprese con registrazione EMAS o in possesso di certificazione ambientale secondo ISO 14001 sono esentate dalla prescrizione di conservazione dei campioni.
In merito all'Allegato 2 (Dichiarazione di conformità), il Ministero precisa che per "cantiere di provenienza" si intende il cantiere di provenienza del fresato. Pertanto in ogni dichiarazione di conformità andrà indicato il cantiere/cantieri nel quale il fresato è stato prodotto con tutte le innegabili complicazioni sul piano pratico. A ciò si aggiunga che il lotto di "granulato di conglomerato bituminoso" (che corrisponde ad un cumulo di volume massimo di 3.000 m3) può derivare anche da più conferimenti e quindi da più cantieri. Ciò implica che ciascuna DDC sia corredata dei dati di tutti i cantieri dai quali è stato conferito il fresato "rifiuto" e che ha contribuito a creare il lotto di End of Waste. Si tratta di un adempimento sostenibile solo nel caso di grandi committenze e grandi opere, mentre rischia di essere di difficile applicazione in tutti i casi nei quali il lotto deriva da un insieme di conferimenti derivanti da piccoli e medi interventi, che rappresentano peraltro la gran parte dell'attività del settore.
Uno specifico "Position Paper" di SITEB, l'associazione di riferimento del settore, descrive gli aspetti salienti del DM 69/18 e propone interpretazioni operative che se colte anche dal ministero competente potrebbero effettivamente trasformare il primo "Regolamento di End of Waste sui rifiuti inerti da C&D" in un utile strumento di "green/circular economy".