Storia, conservazione, riuso, sostenibilità per una sfida contro l'abbandono
Tesi di Laurea Magistrale in Architettura
Laureando: Matteo Bola
Relatore: prof. Carlo Mambriani
Correlatore: prof. Eva Coisson
Palazzo Damiani, nel quartiere di San Giacomo a Pontremoli, è un palazzo nobiliare tra i più significativi del centro storico, per dimensioni, tipologia architettonica, apparato decorativo, complessità e stratificazione del processo di evoluzione diacronica. Ciò nonostante esso è rimasto, fino a oggi, privo di un'indagine analitica che ne mettesse in luce la storia, basandosi su un'attenta e strutturata ricognizione delle relative fonti documentarie.
Muovendo dalle ricerche sulla famiglia Damiani svolte dallo studioso pontremolese Marco Angella, attraverso sia la ricerca e lo studio della bibliografia esistente e dei documenti d'archivio, sia l'analisi comparativa dei rilievi esistenti, si è cercato di mettere in luce la vicenda storica del palazzo, evidenziandone le fasi costruttive, i cantieri di ammodernamento e i passaggi di proprietà che hanno portato la fabbrica alla sua attuale conformazione, all'interno di quel processo di trasformazione e rinnovamento architettonico e urbanistico che ha coinvolto la città storica di Pontremoli tra Sei e Ottocento. Tutto questo con l'obiettivo di lanciare la sfida contro l'abbandono nel quale oggi si trova questo prezioso edificio, anche attraverso una concreta proposta di progetto1.
La vicenda storica
I Damiani, importante e ricchissima dinastia di mercanti e banchieri - oltre che appassionati committenti d'arte - da metà Seicento a fine Settecento, tra Pontremoli, Livorno, Pisa e Firenze costruiscono un immenso patrimonio. Alla fine del Settecento "i signori Damiani" possedevano a Pontremoli ben tre palazzi, il maggiore dei quali è proprio l'oggetto del presente studio. Ancora nel 1683 non esisteva nessun "fuoco fiscale" della famiglia Damiani in San Giacomo. La casa che occupava l'area su cui sorgerà palazzo Damiani apparteneva, agli inizi del Settecento, al cavalier marchese Giovanni Antonio Canossa, confinante con le case Zucchi a nord, Caimi a sud.
Il 22 maggio 1724, i figli del marchese Canossa "vendono all'ill.mo Sig.r Bernardo figlio dell'ill.mo Sig.r Lazaro Damiani di detto luogo presente, che compra, e che stipula per se e suoi Eredi tutta la Casa di raggione del suddetto Sig. Cavalier Gio Antonio Canossa suo padre posta in Pontremoli nella Vicinanza di San Giacomo..."2. Il cantiere della prima residenza della famiglia Damiani in san Giacomo - il cui committente fu Bernardo Damiani di Lazzaro - è quindi da collocare tra il 1724 e il 1732, anno in cui egli vi trasferì il proprio "fuoco fiscale". Sappiamo con certezza perciò che da quell'anno esiste una Casa Damiani proprio nel luogo in cui è situato l'attuale palazzo. Siamo esattamente all'interno del "ventennio d'oro" del barocco pontremolese. Proprio nel terzo decennio del Settecento, Bernardo emerge nella vita cittadina, attivo protagonista di due eventi di punta del rinnovamento edilizio della città: la ricostruzione ex novo dell'Oratorio della Beata Vergine del Ponte, o Nostra Donna, tra il 1732 e il 1738, il cui progettista incaricato fu Giovan Battista Natali, e la fondazione dell'Accademia della Rosa, con la conseguente edificazione del Teatro cittadino, nel 1739, fatto che dà un'idea della grande capacità economica della famiglia Damiani in quegli anni.
Nel cercare di descrivere una breve "storia" della fabbrica, fissiamo un primo momento all'anno 1752. Bernardo Damiani di Lazzaro morì il 29 di settembre. Nel suo testamento, esprimendo le sue ultime volontà dispose che suoi eredi universali fossero "li SS.ri Annibale, Francesco, Giuseppe, Luigi e Niccolino suoi figlioli"3. Venne anche redatto un inventario nel quale sono elencati e nominati diciannove vani. Confrontando gli ambienti descritti con le piante attuali si può avanzare l'ipotesi che il palazzo posseduto da Bernardo Damiani nel 1752 fosse quello definito in planimetria come zona A (fig. 1), che forma un sistema edilizio-tipologico a se stante, ordinato dalla corte grande. Ipotesi avvalorata da un documento notarile del 17684, dal quale sappiamo che Annibale Damiani di Bernardo acquistò dal dottor Ignazio Caimi una casa confinante a sud, per ampliare la propria dimora attraverso un ultimo cospicuo "ammodernamento" del palazzo, avente come termine post quem il 1795, quando il pittore pontremolese Niccolò Contestabili dipinge, firmandola di proprio pugno, la meravigliosa "stanza-paese" della Niobe (fig. 2).
I due principali interventi sono (fig.3):
1. la realizzazione dell'appartamento nobile a L, con la lunga enfilade di sette stanze, l'innalzamento di quasi 1,20 m dell'altezza d'interpiano, con conseguente rifacimento di tutte le strutture voltate di orizzontamento e dei pavimenti e adeguamento delle scale al secondo piano.
2. la nuova facciata ovest, unica per tutto il nuovo palazzo, un unicum, di straordinaria originalità ed ecletticità, nel panorama dell'architettura civile pontremolese: essa è il risultato di un allineamento delle facciate preesistenti, in modo da creare un unico piano su cui poter realizzare un impaginato stilisticamente uniforme. Il prospetto si articola su tre livelli, con aperture ad arco a tutto sesto riquadrato da stipiti e ghiera in pietra arenaria lavorata a bugnato liscio, arricchite superiormente da una cimasa realizzata in stucco di calce e raffinatamente modanata. Al primo piano la grottesca decorazione a mascherone, richiama il tema antico e diffusissimo dei "facion" lunigianesi5. Ad arco ribassato, invece, pulite e snelle, di sapore neoclassico, le aperture che affacciano su strada all'uso di botteghe, sono da collocare già nel secolo XIX, evidentemente successive rispetto all'impaginato tardo-settecentesco della facciata.
All'inizio dell'Ottocento sembrano concludersi le maggiori fasi di cantiere che hanno portato alla configurazione dell'attuale palazzo Damiani, sostanzialmente inalterato fino ai giorni nostri, se non per il costante degrado dovuto al progressivo abbandono del bene, dopo che, dal 1845, le sue vicende si sono allontanate da quelle della famiglia che lo ha costruito. L'intero palazzo nobile, nonostante il vincolo diretto d'interesse architettonico apposto dalla Soprintendenza competente nel 1982, è rimasto nella totale incuria. Conseguentemente il degrado dei paramenti, degli intonaci, modanature e decorazioni esterni e interni, nonché strutturale, a causa della forte umidità di risalita dal terreno che ha intaccato profondamente le murature a piano terra, è proseguito inesorabile fino a oggi. Simbolo della decadenza della città di Pontremoli, palazzo Damiani, che fu costruito per lo splendore di una famiglia e della sua nobile città, resta in silenzio, morente, in attesa di un'opportunità di rinascita. Come scriveva Victor Hugo nel suo capolavoro Notre Dame de Paris: "tempus edax, homo edacior, che io tradurrei volentieri così: il tempo è cieco, l'uomo è stupido".
È possibile un restauro di Palazzo Damiani? Una proposta progettuale
Palazzo Damiani è collocato nel borgo sud del centro storico di Pontremoli, una zona della città che più delle altre ha subito l'abbandono e lo svuotamento di funzioni private e collettive, nel generale trend negativo dal punto di vista demografico, sociale ed economico dell'area. La domanda centrale rimane viva: è possibile un restauro di Palazzo Damiani? Certamente sì, essendo fra l'altro obbligatoro ex-lege, ma la conservazione dei beni culturali non può più essere raggiunta se fine a se stessa, ma deve necessariamente passare oggi attraverso la sfida del riuso, della sostenibilità, anche sociale ed economica, dell'azione di restauro, rispondendo alla necessità di offrire servizi pubblici e privati diffusi sul territorio, secondo strategie di rigenerazione urbana sostenibile. Questo approccio è stato definito come "conservazione integrata" del bene. È necessario innanzitutto abbattere il muro dell'abbandono, della dimenticanza, e restituire la possibilità di conoscere il valore, la bellezza e le potenzialità del bene, "far entrare" la città in palazzo Damiani, per consentire di restituire il palazzo alla città.
L'unità funzionale del palazzo, presa qui in considerazione (fig. 4), rappresenta un percorso fisico che, storicamente, collega la via storica del borgo pontremolese con la strada extra moenia, un tempo "strada dietro la fossa", oggi statale della Cisa, ed è composto da precisi e ancora perfettamente leggibili elementi spaziali-tipologici, caratteristici del palazzo barocco pontremolese. A partire dalla strada storica s'incontra il portale d'ingresso, l'androne, il portico voltato della corte monumentale, un successivo androne (in realtà nel caso specifico più simile a un tunnel di semplice passaggio) che conduce al giardino (la terra retro domum), la strada statale e, oltre, l'importante nodo infrastrutturale della stazione ferroviaria. La semplice elencazione in sequenza di questi spazi, bene esprime la loro naturale vocazione al "passaggio", all'attraversamento, al collegamento. La prima caratteristica della proposta progettuale è la reinterpretazione, in chiave pubblica e attuale, dell'impianto tipologico del palazzo barocco pontremolese, per attivare un nuovo percorso di accesso al centro storico di Pontremoli, in particolare per chi arriva o è diretto alla stazione ferroviaria. Un percorso pedonale, che colleghi l'interno e l'esterno della città "attraverso" l'architettura e non tramite la sua traumatica sostituzione con elementi viabilistici. L'intenzione è quella d'introdursi nell'architettura storica per attraversarla - sfruttandone e al tempo stesso valorizzandone gli spazi - e nell'attraversarla denunciarne a chi guarda lo stato inaccettabile e penoso, ma nel contempo denso di potenzialità.
La seconda caratteristica progettuale è il dialogo tra questa nuova funzione e l'architettura storica. L'obiettivo è quello di realizzare un'architettura nell'architettura, senza intaccare l'oggetto storico, ma per entrare in esso e lanciare la sfida contro l'abbandono. Tutto ciò seguendo un preciso approccio metodologico sintetizzato dalle seguenti parole chiave:
Accessibilità - Per il percorso pedonale urbano si è ricercata la totale accessibilità e abbattimento delle barriere architettoniche, realizzando rampe a norma per una piena fruibilità (pendenza max 8%); inoltre si è provveduto alla limitazione dell'accessibilità alle zone non interessate dal progetto, senza però rinunciare alla visione dell'architettura esistente, attraverso la progettazione di elementi verticali - reti in acciaio corten forate al laser - ideati secondo il criterio della "trasparenza", pur mantenendo la propria funzione di limite e di presidio conservativo.
Provvisorietà - Non vuole essere un compiuto progetto di restauro architettonico, ma presentarsi come primo passo, condizione preliminare e stimolo per l'attivazione di un processo che porti, nel più breve tempo possibile, alla realizzazione del restauro complessivo del bene. Proprio in quest'ottica l'approccio alla preesistenza è stato squisitamente conservativo, di minimo intervento e assoluta provvisorietà. In particolare negli interventi di conservazione della materia e delle superfici: usando il vocabolario di Cesare Brandi, ci si è astenuti sia dall'aggiunta che dalla rimozione, se non, per quest'ultima, in quei soli casi in cui l'intervento ha evidenti ragioni volte alla più corretta conservazione dei materiali adiacenti o sottostanti. Anche gli elementi progettati al fine di limitare gli accessi non consentiti, totalmente rimovibili, seguono questa logica: l'idea concettuale, reinterpretata attraverso le reti in corten, è quella della "cantierizzazione", del work in progress (fig. 5).
Distinguibilità - si è scelto di inserire gli elementi materiali caratterizzanti la destinazione d'uso pubblica prevista - il percorso, le rampe, gli accessi, le pavimentazioni - attraverso un intervento di nuova architettura, chiaramente distinguibile dall'oggetto storico, in grado di valorizzare al meglio l'identità del contesto, la sua materialità. Forme caratterizzate da semplicità nelle linee e minima volumetria, secondo i principi della cosiddetta architettura "a volume zero", pur garantendo, ogni volta, la corretta funzionalità dell'elemento progettato, sia esso pavimentazione, ringhiera, limite, porta, copertura o pavimento. Questo dialogo è stato ricercato soprattutto attraverso la scelta dei materiali: l'acciaio corten, materiale contemporaneo, performante, resistente al tempo e al degrado, ma soprattutto che instaura un dialogo interessante e positivo tra gli effettivi degradi, patine, macchie, degradazioni cromatiche delle superfici storiche conservate, e quelli apparenti e controllati della superficie metallica; la pietra arenaria, che da secoli è l'elemento costitutivo dell'edilizia storica in Lunigiana e a Pontremoli, pur reinterpretandone forme, modalità tecnologiche, metodi di produzione. Le pavimentazioni sono infatti progettate in lastre prefabbricate in impasto di graniglia fine di pietra arenaria (0,2-1 mm) con legante a base cementizia, di 3 cm di spessore, posate sulla struttura in acciaio corten e fissate ad essa mediante tecnologia a secco.
Maria Grazia Ercolino, in un suo saggio sulla relazione tra nuovo intervento e preesistenza, sostiene che "intervenire su un edificio storico richiede molta prudenza. I risultati più calibrati ed empatici nei confronti della materia antica si sono ottenuti quando la filosofia complessiva dell'intervento, consapevole delle stratificazioni dell'edificio, ha affidato alle nuove strutture il ruolo di connessione funzionale". Questo piccolo progetto tenta di percorrere quella strada.