L’intervento emergenziale post-sisma: una proposta metodologica per la valutazione dell’efficacia

Nella fase di prima emergenza post-terremoto, la messa in sicurezza delle numerose strutture danneggiate rappresenta uno dei problemi più delicati e complessi. L'esecuzione di questi interventi, caratterizzati dalla somma urgenza, è necessaria per tutelare l'incolumità delle persone, per evitare il progredire del danno e per ripristinare le normali attività socio-economiche nel minor tempo possibile. Tuttavia, le soluzioni adottate si sono spesso mostrate estremamente disomogenee e poco ottimizzate dal punto di vista tecnico ed economico. Il forte carattere provvisionale che contraddistingue le opere urgenti non solo risulta poco compatibile con il tempo effettivo in cui sono chiamate a svolgere la loro funzione, ma le rende anche difficilmente riutilizzabili nella successiva fase di consolidamento definitivo, generando grandi sprechi di risorse.

Tali criticità si evidenziano ancor più nell'ambito del patrimonio culturale, la cui messa in sicurezza richiede maggiore attenzione ai fini della tutela e del rispetto del valore storico-artistico dei monumenti danneggiati. A tal proposito, però, il carattere temporaneo dei presidi di sicurezza acquista un potenziale positivo in quanto genera in loro una spiccata propensione alla reversibilità, requisito particolarmente adatto all'intervento sul patrimonio culturale nel rispetto dei principi del restauro (reversibilità, compatibilità, minimo intervento, riconoscibilità), come suggerito dalle stesse Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle Norme Tecniche per le Costruzioni (DPCM 9/2/2011).
A partire da queste considerazioni, il tema è stato approfondito in occasione della ricerca svolta nell'ambito del Dottorato di Ricerca in Ingegneria Civile e Architettura dell'Università degli Studi di Parma, in collaborazione dell'Agenzia Regionale per la Ricostruzione sisma 2012 della Regione Emilia-Romagna.
Tale studio ha portato alla definizione di una metodologia che partendo dall'analisi del danno, delle condizioni del sito, del valore del bene culturale, guidi l'operatore nella scelta dell'opera provvisionale più idonea al caso specifico, tenendo in considerazione il vantaggio economico e l'efficacia tecnica, suggerendo accorgimenti metodologici per operare nella fase di emergenza post-sismica in considerazione del successivo intervento definitivo.

La gestione dell'emergenza post-sisma
I maggiori terremoti che hanno colpito il territorio italiano negli ultimi decenni, hanno portato verso una progressiva sensibilizzazione al tema della prevenzione del danno sismico, con particolare attenzione per gli edifici storici in muratura che rappresentano gran parte del costruito esistente. Nonostante la questione sia stata introdotta a livello normativo solo in tempi relativamente recenti, oggi esistono alcuni strumenti, istituiti a livello nazionale, a supporto della fase emergenziale post-sisma e, nello specifico, delle operazioni di rilievo del danno e di messa in sicurezza, due attività fondamentali per la successiva ripresa.
Le schede di rilievo del danno (AeDES per gli edifici ordinari e il modello A-DC e B-DP per i Beni Culturali) permettono, ad esempio, di valutare in modo speditivo le condizioni di agibilità delle strutture danneggiate. I più recenti manuali tecnici sulla messa in sicurezza guidano invece la progettazione e realizzazione delle opere provvisionali, introducendo la standardizzazione delle tecniche e accennando alle possibili implicazioni definitive di questi presidi.

La ricerca ha approfondito l'applicazione concreta di tali strumenti analizzando la risposta emergenziale attivata in Emilia Romagna per affrontate la crisi sismica del 2012. Dall'emergenza alla ricostruzione, il sistema emiliano è stato incentrato sulla gestione unificata dell'attività emergenziali, introducendo elementi innovativi per l'ottimizzazione delle risorse.
Si ricorda, a titolo esemplificativo, l'istituzione del "Gruppo di Validazione" per la valutazione economica dei danni prodotti dal sisma e la stima di costi di intervento omogenei e confrontabili, nonché l'istituzione della "Commissione Congiunta" per l'approvazione dei progetti di ricostruzione relativi ai Beni Culturali attraverso pareri comuni e condivisi, previo esame congiunto degli aspetti strutturali, economici e di tutela.
Nel sisma emiliano, l'architettura religiosa ha rappresentato una delle tipologie architettoniche maggiormente colpite. Lo studio dei caratteri costruttivi e tipologici di queste fabbriche storiche ha ribadito la presenza di vulnerabilità intrinseche e la condivisione degli stessi meccanismi di collasso. La gravità dei danni prodotti dal sisma nel cratere emiliano è risultata essere conseguenza di molteplici fattori. Materiali di buona qualità usati in modo superficiale, modalità costruttive improprie ed incuranti dell'arte del costruire e la storia stessa degli edifici fatta di continue modifiche, aggiunte, sottrazioni, hanno aumentato la vulnerabilità di strutture già particolarmente deboli nei confronti dell'azione sismica per la loro stessa forma architettonica.

Nelle chiese, gli elementi più vulnerabili - e quindi maggiormente danneggiati - sono stati i timpani delle facciate, le coperture e le strutture voltate. I campanili invece sono andati in crisi per taglio o fenomeni rotazionali del fusto. Più significativi sono stati i collassi, parziali o totali, delle celle campanarie dovuti alla rotazione dei piedritti. [Figura 1]
Così definiti i punti di forza, le criticità e gli obbiettivi da perseguire in futuro, la ricerca ha voluto soffermarsi sull'analisi dei costi e delle tecniche di messa in sicurezza al fine di proporre delle metodologie per ottenere degli strumenti attendibili per stimare in modo speditivo ed omogeneo i costi degli interventi e per definire in modo ottimizzato ed efficace l'intervento emergenziale.

L'intervento urgente e le tecniche di messa in sicurezza
Le tecniche impiegate fino alla fine del XX secolo presentavano numerose problematiche di carattere tecnico e metodologico, dovute anche alla mancanza di letteratura specifica. A partire dagli anni '80 iniziano le prime ricerche scientifiche sul tema della messa in sicurezza. Tali studi hanno progressivamente portato all'introduzione del concetto di standardizzazione e di possibili implicazioni definitive delle opere provvisionali, aspetto che però viene ancora spesso trascurato nell'attuazione pratica. [Figura 2]
Ad ogni modo, il progressivo avanzamento delle tecniche offre oggi numerose possibilità d'intervento, a fronte delle quali diventa difficile individuare la soluzione ottimale. Come è proprio dell'approccio del Restauro, la scelta della soluzione di consolidamento - provvisionale o definitiva - dovrebbe discendere dall'analisi dei dissesti. In fase emergenziale, però, il percorso di rilievo del danno rimane svincolato dalla definizione dell'intervento di messa in sicurezza: le schede di rilievo del danno ai Beni Culturali prospettano elenco di possibili provvedimenti di pronto intervento, senza guidare l'operatore nella scelta del presidio più idoneo. [Figura 3]

Sulla base di queste considerazioni, la ricerca qui presentata ha voluto analizzare alcuni interventi di messa in sicurezza realizzati in seguito al sisma del 2012, correlandoli anche con il successivo intervento di ripristino e miglioramento sismico definitivo, al fine di individuare un criterio metodologico che possa guidare il rilevatore nella definizione del presidio di sicurezza ottimale.
Sono stati considerati 19 casi studio relativi a chiese e campanili danneggiati dal sisma emiliano del 2012, studiando di ciascuno le tecniche di intervento impiegate in relazione ai meccanismi di dissesto attivati nei diversi macroelementi e alla gravità del danno.
Emergono così alcune criticità nell'impostazione dell'intervento emergenziale che si ripercuotono poi sulla successiva fase di ricostruzione. Ad esempio, si nota che i presidi contro il ribaltamento dei setti murari sono limitati alla sola facciata o, in generale, al fronte prospicente le vie transitabili, in quanto rappresenta un rischio maggiore per la pubblica incolumità. Non sembra inoltre esservi particolare correlazione tra la tipologia di messa in sicurezza dei setti murari e il livello di danno verificatosi.
Per quanto riguarda le strutture voltate, si sottolinea la tendenza a non intervenire indipendentemente dal livello di danno riscontrato. Probabilmente, ciò è da imputarsi sia alle precarie condizioni di sicurezza presenti all'interno dell'edificio, sia al fatto che un eventuale crollo di queste strutture non coinvolgerebbe le aree circostanti e quindi non metterebbe a rischio la pubblica incolumità una volta vietato l'accesso agli spazi interni. Tuttavia, ne consegue la perdita di valore architettonico e culturale insito in questi elementi, nonché la formazione di macerie le quali dovranno essere accuratamente selezionate e rimosse, rallentando le successive operazioni di ripristino.
Anche gli interventi in copertura sono rari e limitati ai danni molto gravi, più spesso rimandati alla fase di consolidamento finale. Inoltre, in alcuni casi, a fronte di crolli parziali o totali della copertura, non viene preso alcun provvedimento e gli spazi interni restano per lungo tempo esposti agli agenti atmosferici. Da ciò deriva un peggioramento dello stato di conservazione della fabbrica tale da richiedere interventi specifici di pulizia e restauro nella fase di intervento definitivo. [Figura 4]
I numerosi campanili danneggiati hanno suscitato particolare preoccupazione durante la fase di messa in sicurezza: le maggiori difficoltà operative sono derivate dal rischio di dissesto e quindi dall'impossibilità di avvicinarsi e operare a contatto con tali strutture [Figura 5]. Questo aspetto ha fortemente influenzato la scelta della tecnica di consolidamento. Di conseguenza, la prima operazione che si rende necessaria è la rimozione delle parti pericolanti, operando da cestello o da piattaforme sospese. Successivamente, per arginare i meccanismi di ribaltamento fuori dal piano (suddivisione in macro-elementi verticali ed espulsione degli angoli) la tecnica maggiormente impiegata è stata quella della cerchiatura provvisoria del fusto. Infine, per ripristinare la continuità verticale interrotta dalle lesioni orizzontali (martellamento con corpi adiacenti o meccanismi globali) l'intervento è stato più complesso: talvolta la soluzione più semplice è stata quella di puntellare il fusto con consistenti ponteggi mentre, in altri casi, è stato necessario ingabbiare il fusto del campanile. Per la cella campanaria gli interventi variano molto anche in funzione dell'intervento sulla torre. In genere, sono state eseguite operazioni di ripristino della continuità muraria e cerchiatura. Nei casi più gravi è stato necessario smontare l'intero macroelemento e provvedere alla realizzazione di una copertura provvisoria.
Da ultimo, per quanto concerne la messa in sicurezza degli elementi non strutturali, emerge una certa disomogeneità d'azione che porta talvolta a sottovalutare il pericolo, talvolta a non riconoscerlo, talvolta a sovrastimare gli interventi. In considerazione dell'impossibilità di conoscere l'effettivo stato di consistenza dell'ancoraggio, è sempre bene procedere ad una valutazione ravvicinata dello stesso per impedire danni indiretti a persone o cose.
La sintesi di tali dati ha portato all'identificazione delle tecniche di messa in sicurezza maggiormente utilizzate e alla definizione di tabelle riassuntive dei possibili interventi di messa in sicurezza in funzione del macroelemento, del danno e del meccanismo attivato.

Una proposta metodologica
Le analisi così condotte hanno portato alla definizione di una procedura per guidare il rilevatore nella scelta dell'intervento emergenziale più efficace, ovvero del presidio di sicurezza le cui caratteristiche siano tali da soddisfare le esigenze del caso specifico - derivate dall'analisi del danno, delle condizioni del sito, del valore culturale del bene - ottimizzando gli aspetti operativi, strutturali, conservativi ed economici.
La definizione di tale metodo parte dall'assunto che un'opera provvisionale deve essere efficace: efficace dal punto di vista operativo, di facile progettazione e rapida esecuzione in minime condizioni di sicurezza; efficace dal punto di vista strutturale, progettata e realizzata correttamente con materiali e tecniche compatibili e durature nel tempo; efficace dal punto di vista conservativo, nel rispetto degli elementi di valore e dei principi di reversibilità, compatibilità, riconoscibilità e minimo intervento; efficace dal punto di vista economico, evitando sprechi di risorse e considerando la possibilità di riutilizzo futuro dei presidi installati in fase emergenziale. Tuttavia, l'intervento provvisionale non è in grado di raggiungere la massima efficacia in tutti questi aspetti.
Pertanto, si è cercato di valutare l'efficacia dell'opera provvisionale attraverso la redazione di una scheda di valutazione nella quale sono elencate alcune caratteristiche in grado di ottimizzare gli aspetti considerati: operativi, strutturali, conservativi ed economici. Tale scheda viene compilata per ogni singola tecnica di messa in sicurezza attribuendo a ciascuna caratteristica un punteggio (1 positivo, 2 neutro, 3 negativo) in funzione della capacità del presidio di soddisfare il requisito richiesto. Ciò permette una prima identificazione dei punti di forza e degli aspetti critici legati specificatamente alla tecnica di intervento, indipendentemente dalla struttura cui viene applicata.

Successivamente, si è cercato di definire l'efficacia della messa in sicurezza in relazione a fattori esterni legati alle specificità dell'oggetto d'intervento. Le caratteristiche elencate nella scheda di valutazione sono state suddivise in due categorie: caratteristiche indipendenti e caratteristiche dipendenti da fattori esterni, il cui grado di soddisfazione dipende non solo dalla tecnica ma anche dallo stato di danno della costruzione, dalle condizioni del sito e dal pregio dell'architettura. La presenza di tali fattori deve essere rilevata sul posto: per tanto è stata elaborata un'integrazione all'attuale scheda di rilievo del danno, al fine di acquisire informazioni utili a definire, oltre che i meccanismi attivati e il relativo livello di danno, anche eventuali esigenze legate alla fabbrica e al luogo in cui si trova. Per ogni macroelemento che compone la costruzione in esame, tale sezione richiede di esprimere un giudizio in merito alla presenza delle condizioni sopra citate (0 non presente, 0,5 parzialmente presente, 1 presente). Tali giudizi influiranno sulle valutazioni di alcune caratteristiche (quelle dipendenti) della tecnica di messa in sicurezza, definendo l'efficacia del presidio in funzione del caso specifico.
A questo punto, appare necessario confrontare l'efficacia delle diverse possibilità di intervento al fine di individuare la più idonea. A tal fine, si può fare riferimento alle tabelle riassuntive, precedentemente citate, in cui sono state elencate le possibili soluzioni di intervento in funzione del macroelemento danneggiato, del meccanismo di collasso attivato e del relativo livello di danno.
Per ogni tecnica così individuata viene elaborato un punteggio, somma di due contributi, che definisce un indice di efficacia della tecnica.
Il primo contributo, rappresentativo della tecnica, è ottenuto come somma dei punteggi delle caratteristiche indipendente dai fattori esterni, ed è pertanto un valore costante che viene fornito al rilevatore.
Il secondo contributo, rappresentativo del oggetto presidiato, è ottenuto come somma dei risultati ricavati moltiplicando i valori attribuiti dal rilevatore ai fattori esterni per i punteggi assegnati alle corrispondenti caratteristiche dipendenti della tecnica.

A tal proposito, si noti che se un determinato fattore esterno è presente (valore pari a 1), le tecniche che hanno una valutazione negativa relativamente alla caratteristica corrispondente (punteggio pari a 1) vengono sconsigliate in quanto non compatibili.
Infine, confrontando i punteggi così ottenuti per le diverse soluzioni tecniche, si ottiene un ordine di efficacia che suggerisce quali sono le tecniche maggiormente idonee, lasciando la decisione finale al rilevatore il quale dovrà mirare all'uniformità dell'intervento nei diversi macroelementi e alla possibilità di associare più funzioni allo stesso presidio.

Tale analisi d'efficacia deve essere applicata ai diversi macroelementi seguendo l'ordine con cui verrà realizzato l'intervento di messa in sicurezza. In generale, si può ipotizzare che, a parità di livello di danno, il primo elemento da presidiare sarà la torre campanaria, il cui ribaltamento coinvolge un'ampia area circostante. Dopodiché sarà possibile intervenire sulla chiesa, prima dall'esterno (murature perimetrali) e poi, se le condizioni di sicurezza lo consentono, dall'interno (murature interne, volte e coperture). Ognuna di queste fasi genera un livello di sicurezza progressivamente crescente, di cui bisogna tener conto nella valutazione dei fattori esterni. Ad ogni modo, quanto descritto ha carattere generale e deve essere attentamente valutato in funzione del caso specifico. La procedura proposta, infatti, non vuole fornire un'unica soluzione operativa sempre valida bensì guidare l'operatore nell'ottimizzazione dell'intervento, proponendo una base di partenza da adattare ai singoli casi in modo critico e consapevole.
L'applicazione di questa procedura ai casi studio del sisma 2012 ha trovato riscontro in alcuni interventi realizzati mentre, in altri, ha permesso di ottimizzare soluzioni ritenute poco efficaci. In generale, l'impiego della metodologia offre una certa omogeneità d'azione. Tuttavia, tale validazione ha sottolineato la necessità di aumentare l'accuratezza della procedura, richiedendo elaborazioni più complesse. Da ciò deriva la necessità di elaborare un sistema informatizzato per la valutazione dell'efficacia delle tecniche e per la definizione speditiva dell'intervento urgente.

Conclusioni
Come storicamente avvenuto in occasione dei maggiori terremoti che hanno colpito il territorio italiano, anche l'esperienza emiliana ha offerto spunti di implementazione per la definizione di strategie comuni finalizzate a migliorare la risposta alle future emergenze senza dover ogni volta ripartire da zero.
L'evento del 2012, nello specifico, ha enfatizzato l'efficacia di un approccio unificato alla gestione dell'emergenza e l'importanza della formazione degli operatori al fine di condividere gli stessi strumenti e lo stesso vocabolario così da poter intervenire in modo coordinato fin dal primo momento. Appare inoltre di fondamentale importanza l'istituzione di un sistema di prevenzione, al fine di minimizzare i danni futuri, nonché il riconoscimento dell'indispensabile contributo fornito dal rilievo del danno alla successiva ricostruzione. Infatti, già in questa fase sarebbe auspicabile prendere decisioni progettuali rispettose dell'edificio, fruibili e implementabili nelle successive fasi di recupero e ripristino.
Allo stesso tempo, il sisma 2012 ha messo alla prova l'efficacia degli strumenti che oggi supportano lo svolgimento di queste attività, sottolineandone alcune criticità.
Un nuovo approccio, più scientifico, alla definizione degli interventi d'urgenza post-terremoto, attento anche alla successiva fase di progettazione e cantierizzazione dell'intervento di consolidamento e restauro definitivo, permetterebbe di evitare ingenti sprechi di risorse in termini di materiali, tempistiche e costi di intervento. Inoltre, dato che i tempi in fase emergenziale sono necessariamente brevi, fornire uno strumento agile per indirizzare correttamente il lavoro dei professionisti facendo tesoro delle esperienze del passato, può avere un forte impatto operativo sulla gestione di possibili eventi futuri. Impostare le opere provvisionali in un'ottica di riuso per la realizzazione dell'intervento definitivo, fin dalla prima fase di progettazione, potrebbe dunque avere importanti ricadute economiche sulla fase emergenziale e, di conseguenza, garantire più risorse per gli interventi definitivi.

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Si coglie l'occasione per ringraziare l'Agenzia Regionale per la Ricostruzione sisma 2012 della Regione Emilia-Romagna, la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio e Ferrara, il Segretariato Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per l'Emilia Romagna e l'Agenzia per la sicurezza territoriale e la protezione civile. Le immagini riportate sono di proprietà del MiBACT e sono tratte dall'Archivio fotografico Sisma e dall'Archivio Soprintendenza Archeologica belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara.