È stato per me un privilegio essere assegnato all'UNMI, quale ingegnere del Corpo delle Miniere neoassunto nel 1971 e avere poi potuto dedicare a questo Ufficio, all'epoca incardinato nella storica Direzione generale delle Miniere, la maggior parte del mio servizio di pubblico dipendente e cioè circa 30 anni - fino al 2007 - di cui gli ultimi dieci anche in veste di Direttore: incarico molto ambito e molto prestigioso, ma anche molto gravoso. In occasione del 60° anniversario della nascita di questo Ufficio sono stato chiamato dall'attuale competente Direttore generale ing. Franco Terlizzese a fornire un personale contributo di esperienze vissute in seno all'UNMIG ed ho accettato con piacere l'invito anche per il grande affetto che ho nutrito per questa istituzione e per la passione che ho sempre avuto per la materia mineraria. In proposito ho pensato che se dovessi riferire anche soltanto limitatamente agli elementi più significativi dei miei 30 anni di servizio dedicati all'UNMIG sarebbero necessarie troppe cartelle ed un impegno di memoria che, invero, oggi non sarei più in grado di affrontare; devo dunque limitarmi a esporre molto sinteticamente solo alcuni aspetti di esperienze importanti per l'Ufficio di cui ho maggiori ricordi, anche se non sempre piacevoli. Ho scelto i seguenti punti: - Impegno dell'UNMI per la partecipazione ai lavori della Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS). - Difficoltà che l'UNMIG ha dovuto affrontare a seguito del regionalismo energetico. - Ulteriori difficoltà dovute ad una sorta di accanimento giudiziario nei confronti degli Uffici competenti in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi (UNMIG e Ministero dell'ambiente) per i timori di paventati possibili disastri indotti dalla subsidenza in Alto Adriatico.
La Conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare
La Conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare è stata preceduta da un Comitato preparatorio ad hoc - di cui facevano parte solo pochi Stati, tra cui l'Italia - che in seno alle N.U. e presso le sue sedi di New York e di Ginevra si è occupato, con non poche difficoltà e con due sedute all'anno, di trovare preliminarmente un accordo sui principali capitoli e sui principali argomenti di cui la Conferenza avrebbe dovuto occuparsi. L'UNMI fu allora incaricato, per le sue specifiche competenze e professionalità, di garantire la partecipazione a detti lavori preparatori fin dai primi anni settanta, in rappresentanza del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato e, in particolare, per gli aspetti di interesse minerario relativi sia alla eventuale coltivazione delle risorse minerarie esistenti sui fondi e sottofondi marini ed oceanici e costituite dai cosiddetti noduli polimetallici e dagli idrocarburi, sia per le norme che la Conferenza avrebbe dovuto approvare relativamente ai diritti più o meno esclusivi sui vari spazi marini ricadenti sotto le giurisdizioni nazionali degli Stati costieri ed ai criteri di ripartizione degli stessi spazi marini tra Stati adiacenti o frontisti, sia per i capitoli sulla ricerca scientifica marina e sulla tutela dell'ambiente marino. I lavori preparatori terminarono nel 1973 e fu infine trovato l'accordo sul fatto che la Conferenza avrebbe dovuto occuparsi della revisione dell'intero diritto del mare, anche se essa era stata inizialmente proposta soprattutto al fine di regolamentare lo sfruttamento delle risorse minerarie esistenti nel fondo e nel sottofondo dei mari e degli oceani. Infatti l'estremo interesse della Conferenza scaturiva dal fatto che i fondali marini e oceanici, in virtù della notevole attività di ricerca e del sempre più rapido progresso tecnologico, potevano essere considerati come una importante sede di risorse minerarie, compresi gli idrocarburi, in grado di fronteggiare la crescente carenza delle tradizionali fonti di approvvigionamento mondiale. Grazie alla nuova tecnologia si prevedeva infatti di poter estrarre, con profondità d'acqua sempre maggiori, petrolio e gas naturale e di poter coltivare su scala industriale i noduli di manganese abbondantemente presenti sui fondali oceanici e costituiti in percentuali variabili oltre che dal manganese, anche da cobalto, nickel, rame, molibdeno, vanadio, zinco ed altri utili elementi. Inoltre, il mandato così ampio poi ricevuto rivestiva evidentemente il più grande interesse per la Comunità internazionale, non solo per l'importanza economica e strategica delle questioni in gioco, ma anche perché dalla Convenzione avrebbe potuto prendere l'avvio un nuovo "modus operandi" tra gli Stati e forme di cooperazione internazionale del tutte nuove. La UNCLOS fu convocata a Caracas nel 1974 e dopo 9 anni di lavori si concluse a Montego Bay nel 1982. L'UNMIG ha assicurato validamente la partecipazione - con lo scrivente e con il compianto ing. Francesco Retacchi - in tutte le fasi ed in tutte le sedi, a tutela dei forti interessi che l'Italia, con i suoi 8.000 km di coste, nutriva in molte delle materie trattate. La delegazione italiana fu guidata dall'Ambasciatore Nicolò Varvesi il quale al termine dei lavori ha voluto trasmettere al Ministro dell'industria una lettera nella quale affermava che si era trattato di una Conferenza di ampissime dimensioni, la più vasta che la storia diplomatica ricordi per il numero di Stati partecipanti e per la molteplicità e la complessità degli argomenti trattati. L'Ambasciatore rimarcava inoltre che in tale contesto «i rappresentanti dell'UNMIG hanno fornito le loro elevate doti intellettuali e professionali che si sono rilevate preziose, curando anche numerosi elaborati e studi scientifici alcuni dei quali particolarmente apprezzati e figuranti agli Atti della Conferenza medesima.» L'Ambasciatore segnalava infine «la fattiva ed intelligente collaborazione dei valorosi funzionari che, nell'adempimento del loro incarico, hanno saputo servire gli interessi del Paese con abnegazione e capacità meritevoli di ogni encomio.» Sarebbe inutile nascondere la mia soddisfazione per avere ricevuto questo apprezzamento che dava prestigio non solo all'UNMIG ma all'intero Ministero e ripagava ampiamente l'impegno professionale e talora anche i sacrifici e le preoccupazioni che il prestigioso incarico aveva comportato.
Il regionalismo energetico
Sarebbe qui estremamente complicato sintetizzare tutti i lavori che furono necessari per pervenire all'applicazione, per la parte di specifico interesse e competenza dell'UNMIG, della Legge n. 59/1997 (la cosiddetta "Legge Bassanini") attraverso il Decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 112 e successive modifiche "conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali" e poi alla formulazione della Legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3 "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione". Come è noto, quest'ultima Legge stabilisce, con la modifica dell'art. 117 della Costituzione, che produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia sono materie di legislazione concorrente e che nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Stabilisce inoltre che spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato e che la potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia diversa da quelle assegnate alla legislazione esclusiva dello Stato. L'UNMIG ha sempre cercato, in ogni sede ed ogni volta che ne ha avuto la possibilità, di contrastare queste conclusioni adducendo tutta una serie di valide e convincenti considerazioni che avrebbero dovuto scoraggiare questo tipo di regionalismo in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi (upstream petrolifero) dovendosi tenere conto, tra l'altro, che le relative attività minerarie si svolgono non solo in terraferma, ma sempre più spesso in mare e talora anche oltre i limiti batimetrici dei 200 metri di profondità delle acque e cioè a considerevoli distanze dalle coste dove non è certo possibile configurare alcun tipo di competenza degli enti territoriali. Ogni sforzo fu però vano e, purtroppo, le conseguenze furono pesanti: le attività petrolifere furono fortemente rallentate e talora lungamente o definitivamente bloccate a causa delle lungaggini nell'ottenere i pareri e le intese regionali ed un forte scoraggiamento si impadronì degli operatori del settore sia italiani che internazionali per la totale mancanza della certezza del diritto necessaria quanto mai in un settore, quale per l'appunto l'upstream petrolifero, che richiede forti investimenti ad alto rischio e che quindi necessita di chiarezze normative, di tempi certi e di concrete garanzie di poter prontamente recuperare con la produzione, in caso di ritrovamento, gli ingenti investimenti impegnati nella ricerca. Esattamente il contrario delle condizioni che in Italia si vennero ad instaurare con il regionalismo energetico. Molti operatori stranieri dirottarono quindi i propri investimenti in aree geografiche più appetibili. D'altro canto furono parecchie le critiche al federalismo energetico introdotto con la riforma costituzionale del 2001 giudicata frettolosa, approssimativa e varata senza aver effettuato una seria analisi delle varie competenze in materia energetica e, soprattutto, senza avere preventivamente confrontato il federalismo energetico proposto con quello già da tempo realizzato in altri Stati federali (per es. la Germania). Sono stati inoltre rilevati errori nella definizione delle materie e talune dimenticanze. Ma, soprattutto, è mancata una ripartizione chiara dello "spazio regolatorio" per ciascuna delle competenze assegnate alla legislazione concorrente Stato/Regioni, sicché la prevedibile conseguenza fu che ogni soggetto tentò di occupare questo spazio non ancora occupato da altri soggetti e si determinò una giungla normativa. Le singole Regioni, infatti, presero a legiferare in materia concorrente, o comunque a regolamentare, allargando il proprio potere fino a quando qualche altro soggetto non bloccava questa tendenza (per es. la Corte Costituzionale), venendosi così a determinare un contenzioso diffuso e durevole. Il ridisegno costituzionale dell'art. 117 ha creato enorme confusione che impedisce al legislatore nazionale di prendere le decisioni giuste nei tempi giusti e, quindi, di provvedere all'impianto ed alla attuazione della politica energetica che occorre al Paese. Comunque, poiché come ho già detto l'UNMIG ha dedicato ogni possibile sforzo per impedire che questo tipo di regionalismo venisse imposto per la materia dell'upstream degli idrocarburi, mi sento soddisfatto dei numerosi tentativi che personalmente ho fatto, nella veste di Direttore, anche nell'ambito dei lavori della Conferenza Stato-Regioni; ma non si può non rimarcare che la riforma è costata poi all'intero Ufficio anni di difficoltà e talora di sconforto, di delusione e di frustrazione per non poter vedere realizzati - nonostante l'enorme mole di lavoro aggiuntivo che la riforma aveva comportato - gli obbiettivi ed i compiti istituzionali specifici dell'UNMIG e cioè la promozione delle attività di ricerca e coltivazione delle risorse nazionali a beneficio dell'economia nazionale e nel rispetto primario della vita umana e dell'ambiente. A mio parere questi compiti sono di rilievo strategico nazionale, come fra l'altro è dimostrato dall'ancora attuale caso degli importanti giacimenti di petrolio della Val d'Agri e di Tempa Rossa (Basilicata). Questi compiti dovrebbero quindi essere riportati senza ambiguità alla competenza esclusiva dello Stato poiché fino a quando l'Italia ne avrà bisogno le risorse nazionali di idrocarburi dovrebbero essere rese disponibili per assicurare la maggiore possibile copertura del proprio fabbisogno energetico. Oggi sono in molti a riconoscere la necessità di ricondurre sotto la competenza dello Stato la materia dell'energia per il carattere di unitarietà che deve avere la relativa politica energetica e perché il sistema dell'energia è un sistema reticolare che deve essere sottratto a logiche di riappropriazione territoriale che mal si sposano con gli interessi generali del Paese.
La subsidenza in Adriatico
Alle già descritte complessità che l'UNMIG ha dovuto fronteggiare si è aggiunta, a partire dai primissimi anni duemila, un ulteriore motivo di difficoltà operativa causato dalla sempre più insistente denuncia di varie associazioni ambientaliste relativamente a temuti ed imminenti pericoli per le coste dell'Adriatico settentrionale a causa di presunti fenomeni di subsidenza indotti dalla estrazione del metano nell'antistante offshore (zona marina "A"). Sindaci e altri rappresentanti del territorio costiero venivano sempre più influenzati da queste preoccupazioni ambientaliste trasferendo, a loro volta, le stesse preoccupazioni all'opinione pubblica e alle popolazioni di quelle coste. Si deve premettere che già con la Legge n. 206/1995 tutta l'area marina della laguna veneta nel tratto di giurisdizione italiana compreso tra il parallelo passante per la foce del fiume Tagliamento ed il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po era stato sottoposto a moratoria di legge con obbligo, in sostanza, di sospendere ogni attività di estrazione petrolifera in attesa di valutazioni sul paventato pericolo della subsidenza. Infatti in questa area marina, a seguito di lunghe e costose ricerche da parte dell'ENI e di altre Compagnie internazionali, erano già stati rinvenuti 15 giacimenti di gas metano secco contenenti complessivamente riserve estraibili per circa 30 miliardi di metri cubi che con la moratoria di legge non potevano essere estratti. Gli importanti investimenti dispiegati dai concessionari per pervenire con costose ricerche ai relativi ritrovamenti furono dunque congelati. Ma poi le preoccupazioni ambientaliste, sempre più amplificate, riguardarono l'estrazione di gas in una concessione di coltivazione accordata all'ENI nel novembre 2000 in fondali di un'area marina al largo delle coste ferraresi situate a Sud dell'area di moratoria e finirono per indurre la magistratura di Rovigo ad avviare un'indagine che metteva sotto accusa i vertici e gli alti dirigenti dell'ENI e dell'AGIP, un numeroso gruppo di funzionari del Ministero dell'ambiente tra cui molti componenti della Commissione di Valutazione di impatto ambientale (VIA) e due dirigenti del Ministero delle attività produttive: il Direttore generale reggente della Direzione generale dell'energia e delle risorse minerarie firmatario del Decreto di conferimento della concessione e lo scrivente in qualità di Direttore dell'UNMIG, Ufficio che aveva istruito la pratica di concessione ed aveva predisposto il Decreto di conferimento a seguito della pronuncia positiva di valutazione di impatto ambientale effettuata dal competente Ministero dell'ambiente.
Per essere sintetico dirò soltanto che gli avvisi di garanzia furono consegnati nell'aprile del 2002 e contenevano accuse pesantissime (e per certi aspetti infamanti) di danni irreversibili, disastri e dissesti a carico dell'ambiente e dei territori costieri del delta del Po provocati da fenomeni di subsidenza dovuta all'estrazione di gas nella suddetta concessione. A partire dalla data degli avvisi di garanzia gli uffici ministeriali dell'UNMIG e la Sezione di Bologna, competente territorialmente, furono bombardati di richieste di acquisizione di documentazione da parte del Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente - Nucleo operativo ecologico (NOE) di Roma su incarico della magistratura inquirente, mettendo in crisi dirigenti e funzionari che per interi periodi furono costretti ad occuparsi quasi esclusivamente delle pressanti e continue richieste che, in definitiva, riguardarono l'intera fascia costiera adriatica da Venezia a Ravenna e relativo offshore. In pratica una consistente parte dell'archivio centrale dell'UNMIG fu consegnato in originale o in fotocopie al NOE: 27 faldoni, gli atti completi relativi a 57 concessioni di coltivazione e 1.035 profili geo-minerari di pozzi perforati nella zona A dell'Adriatico e nei territori delle province costiere da Venezia a Ravenna. I rappresentanti del NOE incaricati dell'acquisizione manifestarono apertamente il proprio compiacimento per l'ottimo lavoro svolto e per l'organizzazione dell'Ufficio, anche perché il materiale cartaceo fu consegnato già ordinatamente assemblato e corredato da elenchi dettagliatissimi di ciascun documento. Si può quindi con certezza affermare che nell'occasione l'Ufficio seppe offrire la migliore collaborazione possibile al NOE ed alla magistratura inquirente, effettuando anche lavori che sarebbero stati di stretta competenza dello stesso Nucleo. Fu altresì fornita, "ad abundantiam", una apposita mappa planimetrica realizzata al computer, in scala 1:1.000.000, dove erano riportate le concessioni minerarie vigenti e le istanze pendenti oggetto della consegna. Si trattava di n. 48 concessioni (di cui 46 di coltivazione e 2 di stoccaggio) e di n. 4 istanze pendenti. Analogo encomiabile comportamento improntato alla massima trasparenza e collaborazione con l'autorità inquirente è stato tenuto dalla Sezione UNMIG di Bologna, all'epoca diretta dall'ing. Ezio Zappardino. Al termine delle indagini preliminari che, a seguito di varie proroghe, si protrassero per circa tre anni, risultò che i due dirigenti del Ministero delle attività produttive, dopo essere stati interrogati presso il NOE di Venezia nel maggio 2004, erano stati stralciati dalla lista degli imputati mentre per gli altri indagati le accuse vennero mantenute ed il processo andò avanti con il rinvio a giudizio per i funzionari del Ministero dell'ambiente e per due Amministratori delegati e altri alti dirigenti dell'ENI. L'UNMIG continuò comunque ad essere pesantemente coinvolto poiché la Procura di Rovigo ottenne tra il 2003 ed il 2004 il sequestro preventivo di tutti gli impianti operativi nella concessione oggetto iniziale dell'indagine e, inoltre, di due giacimenti dell'ENI produttivi di gas naturale denominati rispettivamente "Dosso degli Angeli" e "Angela Angelina - Ravenna Mare Sud" e delle piattaforme e pozzi ivi esistenti facenti parte di altre concessioni molto più antiche, con evidente aggravio di impegno per la Sezione UNMIG di Bologna, che dovette provvedere a imporre alla Società concessionaria ed a controllare che fossero messe correttamente in atto tutte le misure necessarie per la sospensione in sicurezza delle attività produttive oggetto del sequestro. Dopo qualche mese ed a seguito di appelli proposti dall'ENI al competente Tribunale del Riesame i giacimenti furono progressivamente dissequestrati. Le operazioni e le attività necessarie per il riallineamento degli impianti da parte dell'ENI e la ripresa produttiva dei pozzi e dei giacimenti comportarono il massimo impegno da parte della citata Sezione di Bologna.
Quindi anche queste difficoltà insorte a carico dell'UNMIG a causa della persistente ed accanita azione del P.M. di Rovigo sono state affrontate e superate brillantemente grazie all'impegno e alla professionalità messa in campo da tutti i componenti degli Uffici centrali e periferici coinvolti cosicché fu possibile conseguire una forte rivalutazione dell'immagine dell'UNMIG e dell'intero settore dell'upstream. Per completezza di informazione osservo ancora che il processo penale in questione è stato il primo processo in Italia per subsidenza indotta da estrazione di metano e che mai, d'altra parte, qualche pubblica autorità aveva, in tutto il mondo, chiesto e ottenuto l'interruzione delle estrazioni di idrocarburi per pericoli cagionati dalla subsidenza del suolo. Non resta altro da osservare se non che lo svolgimento del processo in questione è stato demandato alla competenza del Tribunale di Ravenna. All'esito delle rinnovate indagini preliminari la Procura della Repubblica di Ravenna ha presentato richiesta di archiviazione del procedimento penale, alla quale si sono opposte alcune delle parti civili e con ordinanza del 14 febbraio 2011 il Giudice per le Indagini Preliminari ha sciolto ogni riserva pronunciando, dopo ben 10 anni dall'inizio delle indagini, ordinanza di accoglimento della richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero con la quale, oltre a disporre l'archiviazione del procedimento nei confronti di tutti gli indagati, ha altresì disposto formalmente il dissequestro di tutti i giacimenti e la loro restituzione nella disponibilità degli aventi diritto. Gli esagerati timori per presunti problemi di subsidenza che le coltivazioni potrebbero in - durre sulla fascia costiera adriatica - anche se trattasi di giacimenti di gas secco, a discreta profondità ed a notevole distanza dalla costa - che stanno all'origine dell'azione della magistratura di Rovigo possono dunque ritenersi privi di fondamento, e non soltanto a parere della comunità scientifica ma, in definitiva, anche per la magistratura che ha lungamente indagato; tuttavia per molti aspetti che sarebbe qui impossibile elencare, queste paure sono state assai dannose per l'economia nazionale. Non mi resta che salutare e ringraziare tutti i colleghi ed i rappresentanti delle Società petrolifere con i quali ho avuto il piacere di lavorare proficuamente, augurando all'UNMIG che possa continuare a svolgere con successo le attività istituzionali assegnategli dalla Legge istitutiva e da quelle successive ed a superare, ove si presentassero, tutti gli ostacoli e le difficoltà, senza scoraggiamenti e traendo comunque soddisfazione dall'impegno dispiegato e conseguendo i risultati e gli obbiettivi che corrispondono all'interesse generale del Paese.
Riferimenti bibliografici
- Domenico Martino, "Decentramento e upstream petrolifero" in "l'Industria Mineraria", n. 5-6 1998
- Domenico Martino, Francesco Retacchi, "La coltivazione delle risorse minerarie dei fondi marini" in "l'Industria Mineraria", estratto dai fascicoli di nov-dic 1977 e gen-feb 1978
- AA.VV., Il BUIG MARE II, Supplemento al Bollettino Ufficiale degli Idrocarburi e delle Georisorse, a. LIX, n. 3, marzo 2015, DGS-UNMIG
- Presidenza del Consiglio dei Ministri, Servizi Informazioni e Proprietà Letteraria, "La Conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare" in "Vita Italiana, documenti e informazioni", Roma, 1975/76, pp. 611 e ss.